Genova – Ci sono file di cingolati, corazzati, obici, gruppi elettrogeni montati sui camion, e carri da trasporto truppe. Eppure i documenti ufficiali raccontano un’altra storia, e cioè che il cargo trasporterebbe solo auto radiate per esportazione. Mezzi usati, insomma.
Stiamo parlando della Bana e del video che il terzo ufficiale di coperta ha mostrato alla Polizia di frontiera marittima genovese in cambio di protezione e asilo politico, scatenando un caso internazionale che ha portato alla notifica di un avviso di garanzia per sospetto traffico d’armi al comandante della nave.
E se è vero che le perquisizioni effettuate sul cargo all’ancora in calata Derna non hanno portato a niente perché la stiva è risultata vuota, in questi giorni Digos, Polmare e Capitaneria di Porto hanno sequestrato tutta la strumentazione di bordo e i telefoni cellulari dell’equipaggio per ricostruire la geolocalizzazione della nave. A insospettire il pool investigativo coordinato dal Procuratore Aggiunto Francesco Pinto, infatti, ci sarebbero i frequenti black out dell’Ais, il sistema di identificazione automatica, che hanno reso il cargo troppo spesso non tracciabile.
Il caso della Bana scoppia il 29 gennaio scorso quando la portaerei francese Charles De Gaulle la intercetta al largo di Tripoli scortata da due fregate turche. Immediata la reazione del Presidente Macron che accusa Ankara di non rispettare l’embargo sulla vendita e il trasferimento di armi verso la Libia ribadito dalla Conferenza di Berlino il 19 gennaio.
Una coincidenza? Oppure ha ragione il presidente francese? L’affaire è intricato e si complica ancora di più se osserviamo i fatti.
Quando la Bana non si chiamava Bana ma City of Misurata, venne confiscata dal Dipartimento del tesoro USA nell’ambito di una vasta operazione antidroga. All’epoca l’armatore era la Abou-Merhi Lines SAL, una società legata a un importante uomo d’affari libanese, Ali Abou Merhi, che secondo il Tesoro americano sarebbe stato il “socio chiave” di un altro libanese, Ayman Saied Joumaa, legato ad Hezbollah e accusato di narcotraffico e riciclaggio.
Succede nel 2015. Nel 2016 il cargo cambia nome. Ma anche così non smette di risvegliare sospetti. Questa volta a interessarsi della Bana, che si chiama Sham 1, è un panel di osservatori dell’ONU che denuncia la consegna a Tobruk di 300 pick-up blindati trasportati proprio con la Sham 1. Un business fiorente quello degli autocarri: facili da attrezzare con mitragliatrici pesanti, in genere montano le calibro 12.7 e 14.5, sono molto ricercati dalle milizie anche per la loro agilità. L’armatore è sempre la Abou-Merhi Lines SAL.
LE FOTO DELLE FONTI CONFIDENZIALI DELL’ONU
Solo coincidenze? O ha ragione Macron?
Stando ai fatti oggi la Bana appartiene a un’altra società, la Middle East Maritime Consult, e ha anche un altro armatore, la Med Wave Shipping SA, peccato però che la gestione sia rimasta in mano al vecchio Ali Abou Merhi che continua a fare il bello e il cattivo tempo attraverso la Abou Merhi Ship Management SAL, compagnia offshore segnalata come ship manager del ro-ro.
Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.