Roma – Sono finisti agli arresti questa mattina Salvatore Casamonica, boss dell’omonimo clan, attualmente sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’articolo 41-bis, e un avvocato penalista del Foro di Roma, Lucia Gargano, agli arresti domiciliari. Per entrambi l’ipotesi di reato è quella del concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso.
I due, in concorso tra loro e con Fabrizio Piscitelli alias “DIABOLIK” – noto capo ultrà ucciso il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti –, hanno contribuito concretamente al perfezionamento di un accordo finalizzato a stabilire la pace fra il clan mafioso Spada e un altro gruppo criminale operante a Ostia capeggiato da Marco Esposito detto “BARBONCINO”, contribuendo a conservare la capacità operativa degli stessi Spada.
Per siglare e mantenere l’accordo, i due “garanti” (“…io e te ci stiamo mettendo in mezzo per fare da garanti eh!…”) avevano bisogno del supporto di un professionista quale trait d’union con libertà di movimento, credibile agli occhi degli altri criminali e con possibilità di accesso alle aule di Tribunale e agli istituti carcerari, professionista che il 13 dicembre 2017 si presenta al ristorante, a Grottaferrata, per la riunione illecita suscitando lo stupore di uno dei presenti: “…Ho paura di tutti questi delinquenti che stanno a questo tavolino… l’avvocato, mamma mia che coraggio che ha! Mamma mia… in mezzo a tutti questi scatenati…”.
Come riporta il G.I.P. di Roma nell’ordinanza, “…la presenza dell’avvocato… non era affatto casuale” tant’è che Casamonica e “DIABOLIK” iniziavano a parlare della necessità di avviare il processo di pacificazione fra le due fazioni egemoni nel territorio di Ostia solo quando il professionista giungeva al ristorante. D’altronde, la pace da imporre sul litorale si inseriva in un momento storico particolarmente complesso per il clan Spada che aveva al gabbio i propri vertici, Ottavio Spada detto “Marco” e Roberto Spada, per il fermo conseguente all’aggressione del giornalista della RAI Daniele Piervincenzi, il capo indiscusso della consorteria, Carmine Spada detto “Romoletto”,sottoposto all’obbligo di dimora e vittima di due tentati omicidi nel novembre del 2016, e i capi e numerosi sodali del clan Fasciani, federati agli Spada, ormai detenuti da anni.
In virtù del momento di difficoltà del clan Spada, l’organizzazione riconducibile al “BARBONCINO” aveva intenzione di “riprendersi” Ostia con atti di forza e di alto impatto sulla cittadinanza: in appena tre giorni venivano infatti perpetrati tre distinti atti intimidatori nei confronti di soggetti organici o contigui agli Spada: il 23 novembre 2017 venivano gambizzati Alessandro Bruno e Alessio Ferreri (quest’ultimo fratello di Fabrizio, cognato del detenuto Ottavio Spada); due giorni dopo, il 25 novembre 2017, venivano esplosi colpi di arma da fuoco contro la vetrina del bar “Music” a Piazza Gasparri a Ostia, nella disponibilità di Roberto Spada; lo stesso 25 novembre altri colpi d’arma da fuoco venivano esplosi in via Forni verso la porta di casa di Silvano Spada (nipote del boss Carmine detto “Romoletto” e di Roberto Spada, nonché organico all’omonimo clan).
Come evidenzia il G.I.P., “una guerra non sarebbe convenuta a nessuna delle due organizzazioni, tanto che Fabrizio Piscitelli e Salvatore Casamonica dichiaravano apertamente che stavano fungendo da garanti di un accordo tra i due gruppi contrapposti”.
I citati atti intimidatori avevano turbato Ottavio Spada detto Marco, tanto che Casamonica e Piscitelli, per scongiurare quella che il Giudice definisce “una vera e propria guerra di mafia”, decidevano di dettare all’avvocato una lettera che questi avrebbe dovuto consegnare, qualche giorno dopo, allo stesso Ottavio, ristretto in carcere.
In effetti, da lì a poco, cessavano le ostilità sul litorale.
Nel mondo criminale romano questa vicenda aveva una tale eco da diventare tema di discussione per mesi: se ne trovano tracce anche tra le righe dell’ordinanza di custodia cautelare relativa all’operazione “MAVERIK”, che il legale leggeva con preoccupazione a un suo conoscente. In quelle pagine spiccavano ai suoi occhi alcune frasi di Fabio Di Francesco che, parlando di “Barboncino”, raccontava come solo l’intervento pacificatore di Piscitelli avesse potuto mettere fine ad una faida destinata, altrimenti, a mietere molte vittime: “Romoletto (Carmine Spada) gliel’hanno apparato Diabolik e Fabietti. Perché (Marco Esposito) se stava a cacà in mano”.
La lettura delle intercettazioni metteva in agitazione il professionista, che affermava: “mo riarresteranno pure il mio povero Diabolik!” e, consapevole del proprio ruolo in quelle vicende, chiedeva “secondo te mi arrestano? Sicuramente mi indagano”.
Quando, nel gennaio del 2019, il G.I.C.O. dava esecuzione all’operazione “BRASILE LOW COST”, l’avvocato realizzava come alla riunione del 13 dicembre 2017 ci fossero “le guardie” (l’infiltrato delle Fiamme Gialle) tant’è che, forte della sua esperienza forense e consapevole dell’illiceità delle proprie condotte, così si sfogava con un suo collega: “… concorso esterno…”.
Nel corso dell’indagine, emergeva anche che il legale, il 19 giugno 2018 nel corso del colloquio telefonico con il detenuto Carmine Spada, “obbedendo” all’esplicita richiesta di “Romoletto”, lasciava la cornetta in favore della sua convivente Emanuela Leone, consentendo al proprio assistito un colloquio non autorizzato. Qualche mese dopo, nel novembre del 2018, sfruttando una breve evasione di un altro suo assistito, Alessio Lori all’epoca ristretto agli arresti domiciliari presso il Centro di solidarietà “Don Guerrino Rota” di Spoleto (PG), gli consegnava un telefono cellulare, 2 SIM e denaro contante al fine di permettergli, come lo stesso professionista dichiarava in una conversazione intercettata dal G.I.C.O., di “fare impicci”. E proprio con quel telefono, nei mesi successivi, il Lori – sebbene in stato di arresto – riusciva a comunicare indirettamente con il noto narcotrafficante Arben Zogu, detenuto in carcere a Viterbo.
Ancora, durante una cena in occasione del Natale 2018, tenutasi a casa di un soggetto condannato definitivamente per narcotraffico e ristretto agli arresti domiciliari (con divieto di comunicare con persone diverse dai familiari), il G.I.C.O. intercettava un dialogo nel corso del quale l’avvocato, parlando ai pregiudicati, teneva una specie di “corso d’aggiornamento”, illustrando alcune tecniche utili a ostacolare le intercettazioni delle Forze di Polizia e spiegando, in particolare, come evitare l’inoculazione dei virus informatici nei loro cellulari.
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