Lavori fatti male, anomalie strutturali, materiali scadenti, crolli. In nove anni vissuti da collaboratore di giustizia, il pentito di camorra Gennaro Ciliberto ha svelato i retroscena delle tangenti in Autostrade: un giro di mazzette e Rolex per infiltrarsi negli appalti che è approdato proprio in questi giorni sulle scrivanie della Procura genovese che indaga sul crollo di ponte Morandi, e che ha acquisito le sue dichiarazioni raccolte nel 2013 dalla Procura di Roma. Secondo i verbali, infatti, l’ex responsabile nazionale delle Manutenzioni di ASPI, Michele Donferri Mitelli, già indagato per i fatti del viadotto Polcevera, in cambio di sostanziose bustarelle avrebbe favorito nell’affidamento dei lavori la famiglia Vuolo di Castellammare di Stabia, legata ai clan D’Alessandro e Nuvoletta.
Partiamo da qui, da una storia che non ci piace.
È una storia che vale un sacco di soldi. Si chiama corruzione e non riusciamo neanche a comprenderne con esattezza le dimensioni effettive.
Per fare un po’ di luce sulle cifre, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha raccolto tutti i dati delle ordinanze di custodia cautelare di sua competenza emesse nel triennio 2016-2019. Ne emerge un quadro sconsolante: 152 ordinanze, 1 caso scoperto alla settimana, arresti eseguiti ogni 10 giorni.
Ben 113 casi, vale a dire il 74%, hanno riguardato l’assegnazione di appalti pubblici – compresi gli interventi di riqualificazione e manutenzione di edifici e strade, la messa in sicurezza del territorio, il ciclo dei rifiuti e la sanità -, a conferma della rilevanza del settore e degli interessi illeciti legati a questo ramo così redditizio.
I restanti 39 hanno interferito in ambiti come le procedure concorsuali, i procedimenti amministrativi, le concessioni edilizie, la corruzione in atti giudiziari.
I “BANDI SARTORIALI” E GLI ALTRI ESPEDIENTI DELLA CORRUZIONE
Quanto alle modalità “operative”, su 113 vicende corruttive inerenti l’assegnazione di appalti, solo 20 riguardavano affidamenti diretti. In tutti gli altri casi si è andati a gara, e ciò lascia presupporre l’esistenza di una certa raffinatezza criminale nell’adeguarsi alle modalità di scelta del contraente imposte dalla legge per le commesse di maggiore importo, evitando sistemi (quali appunto l’assegnazione diretta) che in misura maggiore possono destare sospetti.
Non solo.
Spesso si registra una strategia diversificata a seconda del valore dell’appalto: per quelli di importo particolarmente elevato, prevalgono i meccanismi di turnazione fra le aziende e i cartelli veri e propri. Per le commesse di minore entità si assiste invece al coinvolgimento e condizionamento dei livelli bassi dell’amministrazione, come il direttore dei lavori ad esempio, per intervenire anche solo a livello di svolgimento dell’attività appaltata.
Le anomalie più riscontrate riguardano l’abuso della procedura di somma urgenza, le gare mandate deserte, i ribassi anomali, l’inerzia prolungata nel bandire le gare per prorogare ripetutamente i contratti ormai scaduti (in particolare nel settore dello smaltimento rifiuti), l’assenza di controlli (soprattutto nell’esecuzione di opere pubbliche), le assunzioni clientelari, i concorsi svolti sulla base di bandi redatti su misura, l’illegittimità nel rilascio di licenze in materia edilizia.
LE AMMINISTRAZIONI COINVOLTE
Tra il 2016 e il 2019 sono stati 207 i pubblici ufficiali – tra dirigenti, funzionari e RUP (Responsabile Unico Procedimento) -, indagati per corruzione.
47 i politici. Di questi, 43 sono finiti in carcere: 20 sindaci, 6 vice sindaci, 10 assessori (più altri 4 indagati a piede libero) e 7 consiglieri. E i Comuni, in effetti, sono gli enti maggiormente a rischio: dei 152 casi censiti, 63 hanno avuto luogo proprio nei municipi (41%), seguiti da 24 nelle società partecipate e 16 nelle Aziende sanitarie.
IL POSTO DI LAVORO COME NUOVA TANGENTE
Il denaro continua a rappresentare il principale strumento dell’accordo illecito, tanto da ricorrere nel 48% delle vicende esaminate, talvolta quale percentuale fissa sul valore degli appalti.
Tuttavia, stando anche alla difficoltà di occultamento delle somme percepite illegalmente, si manifestano nuove e più pragmatiche forme di corruzione. In particolare, il posto di lavoro si configura come la nuova frontiera, soprattutto al Sud. L’assunzione di coniugi, congiunti o soggetti comunque legati al corrotto, non di rado da ragioni clientelari, è stata riscontrata nel 13% dei casi. Segue con l’11% l’assegnazione di prestazioni professionali, specialmente sotto forma di consulenze.
A conferma delle molteplici modalità di corruzione e della facilità con cui si svende la funzione pubblica ricoperta, oltre ai benefit di diversa natura come benzina, pasti, e pernottamenti in albergo, non mancano singolari ricompense di varia tipologia quali le ristrutturazioni edilizie, i servizi di pulizia, il trasporto mobili, il giardinaggio, la tinteggiatura, le prestazioni sessuali.
Ma c’è di più. Gli studi UE e OCSE che nel 2012 diedero una spinta all’approvazione della Legge Severino sulla corruzione, stimavano un costo per lo Stato di 60 miliardi l’anno, il 3,8% del PIL.
E in effetti, benché all’apparenza sia scomparsa dal dibattito pubblico, la corruzione è una cultura tanto radicata che ha fatto la sua parte anche nel declino economico del Bel Paese: grazie alla forza di mercato delle mazzette e sotto l’ombrello protezionistico mafioso, infatti, le aziende compiacenti e amiche hanno controllato negli anni il mercato, ricavando un profitto monopolistico precluso alle ditte oneste. Un’economia parallela che ha fatto del saccheggio del territorio il suo core business e per la quale stiamo pagando tutti, a partire dai morti del 14 agosto 2018.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.