Genova – Sono sempre di più le case di riposo travolte dal contagio, un allarme che suona non solo per gli ospiti ma anche per chi ci lavora e non ha disposizione misure di protezione personali adeguate. Lo stesso vale per le strutture di accoglienza dei minori piuttosto che per le residenze psichiatriche dove, in assenza di contenimento farmacologico, gli ospiti non possono essere trattenuti e dunque escono al mattino per rientrare la sera senza che gli operatori sappiano dove siano stati.
“Sono arrivate finalmente in Liguria 50.000 mascherine dalla Cina – spiega Diego Seggi, Coordinatore regionale Funzione Pubblica CGIL -, ma purtroppo il settore privato accreditato, in cui rientrano ad esempio le RSA , è al quarto posto per la distribuzione dopo ospedali, reparti intensivi e Pronto Soccorsi”.
Un dramma, perché oggi il personale opera praticamente in assenza di DPI, “una situazione non voluta dalle aziende ma determinata dal fatto che non ce ne sono sul mercato”, continua Seggi che poi si scaglia contro gli ultimi DPCM che hanno blindato le RSA, chiuso i centri diurni riabilitativi per i disabili, ma “hanno stabilito gli invii del personale a domicilio, che è un elemento di rischio per tutti”.
Un problema quello di decreti e protocolli che tocca anche i lavoratori in appalto delle pulizie e della ristorazione che operano negli ospedali e che si sono ritrovati con i criteri di sicurezza abbassati da un giorno all’altro. “Fino a pochi giorni fa – chiarisce Nicola Poli, funzionario Filcams-CGIL – anche gli operatori delle pulizie dovevano utilizzare le mascherine del tipo FFP2 e FFP3. Dal 14 marzo, invece, una nuova Direttiva dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha stabilito che vanno bene anche quelle chirurgiche. Questo ha scatenato il panico tra gli addetti”. Chi fa le pulizie in ospedale, infatti, si muove per tutto il nosocomio, dal cortile alla sala operatoria, passando per la terapia intensiva e le sale di attesa dove si aspettano i risultati dei tamponi per il Covid-19.
“I lavoratori hanno paura anche perché, una volta finito il turno, rientrano a casa e non sanno se si stanno portando dietro la malattia – precisa Viviana Correddu, Delegata Filcams-CGIL -. Una minaccia per tutti anche perché queste persone poi prendono i mezzi pubblici”.
Quello della tutela del personale in appalto sta diventando un problema di massima urgenza e di difficile soluzione perché si tratta di lavoratori esclusi dal Decreto Cura Italia. All’articolo 5, infatti, si prevede che “i dispositivi di protezione individuale siano forniti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e sociosanitari”, ma chi fa le pulizie è inquadrato con il contratto dei Multiservizi e non rientra nel personale ospedaliero, e così alle Direzioni sanitarie basta attenersi alle ultime disposizioni dell’ISS. “Come sempre la burocrazia ricade sulla schiena di questi lavoratori – denuncia Poli – che svolgono una mansione primaria per la tenuta del sistema sanitario. Si tratta per lo più di donne, spesso monoreddito, che non possono accedere alla quota cento perché maturano un’anzianità contributiva molto avanti negli anni e dunque hanno una età media elevata“.
Fatto che complica molto le cose perché in questi giorni di emergenza chi è più a rischio si tutela restando a casa e chi è presente è sottoposto a uno stress maggiore. È ancora Poli che chiarisce: “Chi svolge questo servizio lo sta facendo in modo eroico e in condizioni critiche, magari pulendo più in fretta, a discapito del servizio. Per non parlare dello stress, emotivo e fisico: emotivo perché non sanno se torneranno a casa sani, fisico perché stanno facendo un sacco di ore”.
Gli fa eco Seggi che ricorda come gli operatori “stanno lavorando con grande responsabilità ma se non si arriverà a un protocollo condiviso entro le prossime settimane, sarà sempre più difficile che garantiscano il servizio”. Nelle case di riposo la questione è spessa, continua Seggi: “Le RSA non sono strutture fatte per contenere e isolare le infezioni. Eppure c’è un’ordinanza di A.Li.Sa. che impone di tenere l’anziano positivo al Covid-19 in isolamento in struttura“.
A battere sul protocollo unitario anche Correddu che sulla situazione degli addetti ai pasti ospedalieri mette a fuoco come “non ci sia coordinamento a livello regionale. Succede che la stessa azienda, sulla base del dialogo che è riuscita a intavolare con le varie Direzioni sanitarie, si ritrovi ad agire in modo diverso da ospedale a ospedale. Ci sono ospedali come il San Martino, ad esempio, che hanno sospeso il servizio di prenotazione scheda. E altri no. Ospedali che hanno adottato il vassoio usa e getta. E altri no. Qui gli addetti continuano a fare avanti e indietro dalle camere”.
Una situazione inaccettabile dove gli operatori degli appalti sono considerati personale di serie B, tanto che in un noto policlinico genovese è successo in questi giorni che un primario abbia fatto fare tampone e misurazione della temperatura solo ai dipendenti dell’ospedale mentre agli altri è stato detto di rivolgersi alle rispettive aziende datoriali. Fatto grave per chi lavora gomito a gomito con medici e infermieri.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.