“L’altro ieri ci ha chiamato una donna. Per lei l’isolamento forzato è qualcosa di più che rinunciare a una corsetta. Ha un marito violento e l’ha picchiata perché secondo lui non aveva pulito bene il bagno”
In tempi di pandemia, per qualcuno restare a casa è una richiesta pericolosa.
“Si sa che la violenza domestica si consuma soprattutto tra le mura di casa e questa convivenza forzata aumenta i rischi. Ci aspettiamo un’escalation, visti anche i dati più che doppi di violenze domestiche registrati in Cina durante la quarantena“, racconta la responsabile del Centro Antiviolenza Mascherona, Manuela Caccioni, che ci manifesta la sua preoccupazione per chi ormai non ha neppure la libertà di fare una telefonata “perché stare a contatto 24 ore su 24 con il partner maltrattante significa perdere completamente l’autonomia”.
In effetti “le donne che riescono a chiamarci lo fanno quando il marito è fuori, a buttare la spazzatura o, se sono fortunate, al lavoro” e così i telefoni squillano di meno. “Ho ricevuto 10 chiamate questa settimana “, conferma Caccioni che poi ci spiega quanto l’isolamento forzato realizzi in realtà il sogno di segregazione del violento perché “la violenza domestica comporta il controllo assoluto da parte del maltrattante, controllo di telefonate, spostamenti, di tutte le comunicazioni. E se nella normalità le donne escono per accompagnare i figli a scuola, fare la spesa o vedere i genitori, oggi si trovano completamente isolate, sole a pattinare sul ghiaccio, dico io, perché vivono nella paura che arrivi da un momento all’altro la reazione del partner”. Spesso senza capire davvero cosa l’abbia provocata.
“La prima giustificazione dei compagni violenti è la gelosia – chiarisce ancora Caccioni -, e dunque in questa fase di emergenza sanitaria, andando contro tutti i nostri principi, consigliamo di non reagire, di stare zitte e di usare pochissimo il cellulare e i social. Si tratta di una strategia per non finire malmenate, magari davanti ai figli che sono a casa da scuola e vedono il papà commettere un reato contro la mamma“.
Viviamo giorni difficili e alcuni hanno bisogno più di altri di una tattica per sopravvivere. Non per tutti stare a casa vuol dire essere al sicuro.
Per questo il centro resta aperto con le sue attività essenziali come il servizio di ascolto: “Rispondiamo al numero 010-587072 e al 349 1163601, anche tramite WhatsApp o Skype. Sabato e domenica abbiamo la reperibilità tramite segreteria telefonica”, tiene a sottolineare Caccioni che spiega quanto sia fondamentale per queste donne sfogare le loro paure per poter restare lucide e gestire una quotidianità più critica del solito.
Un problema che potrebbe spiazzare le donne è anche quello dell’autocertificazione. Cosa dovrebbero scrivere sul modulo per scappare dal pericolo immediato di un pugno sulla faccia o di qualche costola rotta? E per andare dove visto che il Pronto Soccorso è un lazzaretto? A risponderci è ancora Caccioni: “Noi consigliamo di chiamare il 112. È importante che le donne sappiamo che il Codice Rosso è attivo. Il virus non ha fermato la rete di protezione. Non sono sole”, conclude.
Simona Tarzia
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.