“Non ho mai visto una situazione del genere – esclama un dipendente comunale del Polo Crematorio di Milano – e lavoro qui da 33 anni!”.
Dopo Bergamo, anche il forno crematorio di Milano chiude i battenti ai non residenti. Una situazione di “saturazione” che chi ha subito la perdita di una persona cara in questi giorni aveva già dovuto riscontrare e che ora è stata ufficializzata da una determina dirigenziale: considerati “tempi di attesa per la cremazione superiori a 5 giorni dall’arrivo a Lambrate, quindi anche … 10 giorni dal decesso”, dispone che coloro che muoiono in città, senza esserne residenti, non potranno essere inceneriti a cura del Comune.
Esattamente come è avvenuto per la tenuta del Sistema Sanitario Nazionale, la colpa non è tutta del virus. Il Polo crematorio del cimitero di Lambrate è gestito in parte direttamente dal Comune di Milano, per quanto riguarda l’area amministrativa e alcuni aspetti dell’area tecnica, in parte è stato dato in appalto alla ditta Rado&Cerri, che si è aggiudicata ininterrottamente dal 2011 la conduzione dei forni.
A testimonianza se non di un disinteresse per il problema, almeno di sciatteria, troviamo “La carta dei servizi delle cremazioni”, pubblicata dall’area Servizi pubblici e cimiteriali del Comune di Milano per il 2020, copiata e incollata tal quale a quelle del 2018. Così, nella relazione per il 2020 si può leggere che l’impianto è formato da 6 linee di cremazione con 4 forni alimentanti a gas metano e 2 elettrici e che “entro il 2019 i due forni elettrici saranno sostituiti con altrettanti a gas metano, in grado di bruciare casse con la presenza di zinco”.
In realtà a Fivedabliu risulta che attualmente siano attivi solo 4 forni a gas, dal momento che i due elettrici sono stati distrutti, ma non ancora sostituiti con i nuovi. Che sono a questo punto attesi fra la fine dell’anno e i primi del nuovo.
Unico aspetto positivo di questa gestione è che la parziale esternalizzazione del servizio, non ha portato a un aumento delle tariffe. A Milano la cremazione si continua a pagare 280 euro, anche se – a detta dei lavoratori – costa alla struttura 400-450 euro.
Chiara Pracchi
Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
Per Fivedabliu curo le inchieste da Milano.