Isolamento e disturbi mentali: la psicopatologia del lockdown

Dentro le mura domestiche, isolate per rallentare il contagio, ci sono in Italia oltre 850.000 persone con  disturbi psichiatrici cui il lockdown lascerà ferite difficili da prevedere

Corrado De Rosa

 

 

 

 

 

 

 

“Dalla depressione alle patologie più gravi, le persone affette da disturbi mentali anche lievi, sono una popolazione a rischio. Incidono la distanza sociale della quarantena, la paura del contagio, sia personale che di trasmissione del virus alle persone care, e la frustrazione per la perdita della routine”. Ce lo spiega Corrado De Rosa, psichiatra e scrittore, che poi sottolinea come “l’isolamento potrebbe aumentare i pensieri ossessivi, condizionare il rapporto con il cibo per chi soffre di disturbi alimentari, peggiorare i quadri ipocondriaci e quelli connessi all’abuso di alcol”.

Il disagio si ingigantisce tra le mura di casa

E sulla salute mentale peserà purtroppo anche la riduzione degli accessi regolari alle cure che, in questa fase, devono concentrarsi sui casi gravi e indifferibili. Un problema grosso perché il disagio si ingigantisce quando è chiuso tra le pareti di casa.
Precisa De Rosa: “C’è poi il problema del rischio suicidario connesso alla perdita di aspettative e ai potenziali danni economici prodotti dalla crisi”. Un pericolo che riguarda anche chi non ha mai manifestato problemi perché è certo che dopo l’emergenza sanitaria arriverà quella economica e ci farà male: “Paura e isolamento riducono il senso di essere parte della collettività, indeboliscono le reti sociali e questo aumenta i rischi. Sia fra i pazienti, perché ci sono patologie gravi associate a un rischio più alto, sia in chi non soffre di un disturbo mentale, perché il suicidio non è un’azione esclusiva dei pazienti psichiatrici bensì un comportamento determinato da molti fattori. Chi decide di togliersi la vita spesso lo fa perché non riesce a intravedere prospettive che, in realtà, vorrebbe avere. È importante, quindi, valorizzare misure di sostegno e prevenzione”.

Prevenire il suicidio

Ma come si fa a prevenire il suicidio? “Esistono linee guida e protocolli, nazionali e internazionali, programmi di prevenzione e di formazione fondati proprio sul riconoscimento dei fattori di rischio, e programmi di sensibilizzazione che coinvolgono il personale, come quello sanitario o scolastico, che lavora in sedi strategiche. Esistono progetti mirati a sensibilizzare i media su come veicolare informazioni relative al suicidio. In USA, per esempio, fu fatta un’efficace campagna dopo il suicidio dell’attore Robin Williams”, continua De Rosa che spezza una lancia per l’assistenza psichiatrica in Italia: “L’organizzazione dell’assistenza psichiatrica italiana è all’avanguardia. Prevede una presenza capillare sui territori. Non sempre quello che un familiare o un paziente ritengono che richieda una visita domiciliare, lo è effettivamente. Ma il sostengo offerto dai Centri di Salute Mentale consente un primo filtro in tempi rapidi. In corso di epidemia, non è possibile assicurare gli stessi livelli di assistenza ed è importante garantire quelli compatibili con le esigenze di salute pubblica. Il che determina un adattamento alle disposizioni ministeriali con la sospensione delle attività ordinarie. Questo, comunque, non esclude la possibilità di tenere un contatto costante con l’utenza, anche a distanza, per esempio utilizzando la telemedicina”.

Un aiuto importante per i familiari che devono gestire questa convivenza forzata “che non è una condanna”, tiene a sottolineare De Rosa spiegando che “nel caso dei pazienti più gravi, i familiari hanno ruoli determinanti nella vita quotidiana” e possono certamente attenuarne le ansie “normalizzando il più possibile la quarantena, comunicando in modo chiaro, semplice e onesto su quello che accade. Correggendo le informazioni sbagliate che arrivano da fonti non accreditate e che spesso sono strumentali alla diffusione della paura: la limitazione delle fake news vale ancor di più per le fasce di popolazione più deboli. È utile parlare delle preoccupazioni, aiutarsi nel trovare strategie che riducano la tensione, darsi obiettivi personali e comuni”.

“Poi, nel caso in cui le persone riferiscano gravi sintomi connessi allo stress o un peggioramento dei quadri clinici, è importante rivolgersi ai Centri di Salute Mentale”, perché passare dalla preoccupazione alla rabbia è un attimo, “ma qui entriamo nel campo, spinoso, del rapporto fra violenza e psicopatologia”,  dice De Rosa che dalla sua esperienza ha ricavato un’altra convinzione: “Il rapporto diventa significativo in caso di compresenza di abuso di sostanze, di ritardo di diagnosi o, per alcune malattie, di terapie errate. Ma i pazienti psichiatrici non sono più pericolosi della popolazione generale, anzi sono più spesso vittime di reato. Il fatto che sia molto difficile discutere di questo argomento senza entrare nel campo dell’ideologia, rischia di fare, e ha fatto, danni enormi. È chiaro che la salute mentale risente dei tempi e che il modo attraverso cui si declinano le malattie si mescola al modo di essere, alle personalità di ciascuno. È altrettanto chiaro che se la società diventa, globalmente, più o meno violenta, i pazienti lo saranno ugualmente. Per cui non credo che questo aspetto sia fra le priorità da considerare”.

E in effetti preoccupa di più il sottobosco di delatori scatenati sui social network, “un indicatore del termometro sociale del momento” li definisce De Rosa, “sono quelli che non hanno voglia o tempo di domandarsi se una persona in strada è lì per una ragione importante. Sono quelli che esprimono la loro rabbia sui social, che alzano il tiro per il gusto di odiare, perché fra agire e riflettere preferiscono agire. Naturalmente sono pesci che si nutrono in un acquario fatto di una comunicazione politica ansiogena che non si adegua ai momenti e alle fasi che attraversiamo, di servizi televisivi o domande poste a chi gestisce l’emergenza che cercano notizie drammatiche per titoli sensazionali”. Ma per fortuna non esiste soltanto le rete furibonda, conclude De Rosa: “Credo, però, che stiamo assistendo anche a molti esempi di buona comunicazione e a tanti tentativi di veicolare le informazioni, anche scientifiche, in modo corretto”.

Simona Tarzia

Corrado De Rosa, psichiatra e scrittore. Ha pubblicato saggi scientifici e divulgativi sull’uso della follia nei processi di mafia, sul terrorismo e su altre tematiche psicosociali.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.