L’italiano che salvò il mondo dalla SARS

Era il 2003. Carlo Urbani, un infettivologo italiano in missione in Vietnam per conto dell’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite viene chiamato a indagare sulle condizioni di un ricco americano, tale Johnny Chen che presenta una sintomatologia sconosciuta derivante da una polmonite atipica S.A.R.S. Il SARS-CoV è stato identificato nel 2002 come responsabile dell’epidemia della sindrome respiratoria acuta grave (severe acute respiratory syndrome).

Urbani, all’epoca, è un medico poco più che quarantenne e capisce da subito, dopo una visita, che c’è qualcosa di nuovo, da porre all’attenzione della comunità internazionale. Mette in piedi in poco tempo accorgimenti per evitare il contagio ed evitare una pandemia. Questo protocollo da applicare a questa emergenza viene da subito adattato ad altre situazioni simili. In marzo la brutta notizia, perché all’infettivologo viene diagnosticata la malattia, al che lui stesso chiede che vengano prelevati dal suo corpo tessuti per lo studio della malattia. Muore lo stesso mese di marzo, il 29, colpito da “polmonite atipica” nell’ospedale di Bangkok, la capitale della Thailandia.

Nato il 19 ottobre 1956 in provincia di Ancona, nel paese di Castelplanio, fin da giovane collabora con organizzazioni di volontariato, fra le quali Mani Tese, con cui partecipa assiduamente a campi di lavoro, manifestazioni di raccolta di farmaci per l’Africa, opera di sensibilizzazione con riunioni sulle problematiche del Terzo Mondo. Nel 1981 consegue la laurea in medicina ad Ancona. Poi negli anni ’90 arrivano vari incarichi quale consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e la collaborazione con Medici senza frontiere. Infine l’incarico che prevede una missione di tre anni in Vietnam. Anni prima, a chi gli offriva   un posto da primario, Urbani aveva risposto: “Non sono mica un burocrate, io sono un medico”.

Scrive, in una lettera “… Sono cresciuto inseguendo il miraggio di incarnare i sogni. Ed ora credo di esserci riuscito. Ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro. Anni di sacrifici mi permettono oggi di vivere vicino ai problemi, a quei problemi che mi hanno sempre interessato e turbato. Quei problemi sono anche i miei, in quanto la loro soluzione costituisce la sfida quotidiana che devo accettare. Ma il sogno di distribuire accesso alla salute ai segmenti più sfavoriti delle popolazioni è diventato oggi il mio lavoro. E in quei problemi crescerò i miei figli, sperando di vederli consapevoli dei grandi orizzonti che li circondano, e magari vederli crescere inseguendo sogni apparentemente irraggiungibili, come ho fatto io”.

La moglie disse di lui “Carlo non era un medico-eroe, era solo un medico che aveva un grande sogno: quello di aiutare gli altri, soprattutto le persone più deboli e indifese. I suoi grandi amori sono stati la famiglia e la sua vocazione laica della professione medica, intesa come dedizione assoluta nel curare e salvare le persone, soprattutto le più povere ed emarginate. Questo era il suo desiderio e la sua missione di vita.  Il primo viaggio di nozze lo facemmo proprio in Africa. Certo solo chi amava i suoi stessi valori poteva comprenderlo e seguirlo. Noi ci eravamo conosciuti quando, entrambi ventitreenni, eravamo già impegnati socialmente. Io assistevo le persone con handicap. E’ stato questo grande amore per le persone deboli che ci ha unito molto. Carlo desiderava che i suoi figli capissero i grandi valori del mondo anche confrontandosi con realtà ben più dure e amare, come quella della povertà o della miseria. Per questo ci voleva tutti insieme, durante le sue missioni”.

A lui è dedicato il libro “Un medico senza frontiere” di Lucia Bellaspiga.

“Nei momenti di grave crisi sanitaria riponiamo le nostre speranze e aspettative nell’efficienza delle grandi organizzazioni come l’OMS o di quelle più piccole come gli ospedali e i presidi sanitari. Non sono però le organizzazioni che cambiano il nostro destino o che fanno la differenza, ma sono le persone che ci lavorano dentro, in particolare quelle si fanno carico di cambiare il corso degli eventi perché credono fino in fondo nell’importanza del loro lavoro. Carlo Urbani era una di queste persone”. (Ilaria Capua, virologa e veterinaria di fama internazionale)
Ebbe a scrivere il segretario dell’O.N.U., Kofi Annan che “… non sapremo mai quanti milioni di vite ha salvato il sacrificio di Carlo Urbani. Forse un giorno diremo lo stesso per i medici italiani morti in questi giorni alla lotta al coronavirus”.

Le vittime accertate della S.A.R.S., al 18 giugno 2003, erano 801. Il 5 luglio dello stesso anno, l’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – dichiarava l’epidemia “contenuta in ogni parte del mondo”.

SALUCCI  SUL WEB
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova

 

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