Un sistema messo in ginocchio da una riga di “azionisti di maggioranza” inconsapevoli del patrimonio comune e incuranti della sua tutela. È questa la certezza che ci lascerà l’epidemia di Covid-19, insieme alla consapevolezza che se la nostra sanità in qualche modo si è tenuta in piedi, lo ha fatto solo per la generosità del personale sanitario e il cuore della mobilitazione collettiva.
E non c’è da stupirsi.
Se è vero che le parole non sono mai neutrali, un segnale inequivocabile su quello che sarebbe stato il futuro della più grande opera pubblica mai costruita arrivò già nel ’92 quando Francesco De Lorenzo, Ministro della Sanità finito in manette e condannato in Cassazione per lo scandalo Tangentopoli, trasformò le Unità Sanitarie Locali in “Aziende” più attente ai bisogni di cassa che a quelli della cittadinanza. Ai Direttori generali che mantengono la spesa al di sotto del tetto del bilancio di previsione, infatti, è riservato un premio annuale.
Per non parlare poi dei tagli. Negli ultimi dieci anni sono stati sottratti alla sanità ben 37 miliardi di euro, un calo che ha colpito il livello di assistenza abbassando i posti letto di almeno 70.000 unità e il personale dipendente di 46.000 tra medici e infermieri, e che ha portato alla chiusura di 359 reparti in giro per l’Italia.
Eppure secondo l’ultimo rapporto del SIPRI – lo Stockholm International Peace Research Institute -, nel 2018 il nostro Paese ha destinato 27,8 milioni di dollari alle spese militari, l’1,3% del PIL.
COSA È SUCCESSO IN LIGURIA?
“Facciamo un esempio: quando hai due posti letto e quattro pazienti, devi scegliere i pazienti più forti perché la terapia intensiva non è un ambiente tranquillo. Si tratta di cure violente che hanno bisogno anche di un substrato biologico in condizioni tali da poter resistere” e i posti non vanno sprecati per qualcuno che potrebbe non farcela.
Sono le regole sulla precedenza di trattamento in emergenza e le conferma a Fivedabliu un medico dell’ospedale sampierdarenese di Villa Scassi, che accetta di parlare restando anonimo: “Se è vero che già in condizioni normali ci sono persone, molto anziane e con tante malattie, che non trovano spazio in terapia intensiva, è ovvio che con questa emergenza il gioco si fa più duro. Ma noi non siamo dei boia che decidiamo chi far vivere e chi lasciar morire. Quando torni a casa e cominci a pensare, è lì che ti rendi conto del carico psicologico di una situazione così pesante. Non è facile da descrivere. A volte è senso di colpa, o angoscia, o disperazione. Nessuno resta indifferente”.
E intanto che la cronaca racconta delle imprese del personale sanitario in trincea e del Protocollo per il triage in emergenza che stabilisce di scegliere chi curare e chi no perché i posti in terapia intensiva sono quelli che sono, i numeri liguri ci rivelano che tra il 1990 e il 2017, nella nostra regione sono andati persi 8.738 posti letto e che in tre anni, tra il 2014 e il 2017, abbiamo depennato 105 posti per acuti.
ANCHE LA CORTE DEI CONTI BOCCIA LA SANITÀ LIGURE
Tutto questo mentre i cittadini liguri sono chiamati a concorrere alle spese sanitarie attraverso una compartecipazione ai costi delle prestazioni a mezzo ticket che si aggira intorno al 56,8% ed è ben oltre la media nazionale pro capite del 47,8%.
Un dato denunciato dal Procuratore regionale Claudio Mori nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 2 aprile scorso.
Nelle proprie conclusioni, il Procuratore ha evidenziato come la Liguria presenti tutta una serie di valori/indici che la pongono agli ultimi posti tra le Regioni del Nord: è una delle poche Regioni a statuto ordinario a non avere un ente del Servizio Sanitario che sia in utile.
Non solo. Il dito dei giudici è puntato anche sull’aumento dei costi per i pazienti migrati che la Liguria deve saldare ad altre regioni, in netto peggioramento: si passa dai 34.700.000 euro del 2017 ai 53.588.466 euro del 2018.
Per non parlare della perdita di esercizio: se si sommano i risultati negativi dal 2009 al 2018 si arriva a una somma complessiva di 925.585.000 euro, comprensivi dell’operazione A.R.T.E. del 2011, cioè la copertura dei conti in rosso della sanità ligure con la cessione di immobili di proprietà regionale e di aziende sanitarie. Una partita di giro degli immobili ASL, “venduti” all’ex Istituto Case Popolari, che non ha mai convinto la Corte dei Conti.
Se a tutti questi dati negativi aggiungiamo anche quelli per la spesa farmaceutica ospedaliera, e cioè lo sforamento del tetto del 14,85%, il mancato rispetto dei tempi di pagamento da parte della ASL 2, dell’IRCCS San Martino e dell’Istituto Gaslini, nonché il notevole incremento degli interessi passivi correlati, passati dai 347.000 euro del 2017 ai 987.000 euro del 2018, ecco perché la Procura ha necessariamente rilevato che la Liguria eroga un servizio sanitario a costi elevati e con un livello di qualità medio-bassa.
Questa la fotografia dei numeri.
Peccato che dietro ai calcoli e alle percentuali ci siano persone in carne e ossa: pazienti, medici, infermieri. E poi un virus che è arrivato per scoperchiare il pentolone di tutti i problemi strutturali della nostra sanità malata.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.