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Sanità & salute

Coronavirus, nelle RSA le vittime dimenticate dai dati ufficiali e dalla sanità: “Ci è stato chiesto di non mandare gli anziani in ospedale”

6 Aprile 2020
Simona Tarzia

Genova – “Quando è scoppiata l’epidemia e si è visto che i posti in terapia intensiva scarseggiavano, ci è stato chiesto, un po’ tra le righe, di non mandare gli anziani in ospedale”.

Ubaldo Borchi

A parlare è Ubaldo Borchi, gestore della “Residenza Valpolcevera” e associato ANASTE, l’associazione nazionale che rappresenta le imprese private di assistenza residenziale agli anziani, che denuncia a Fivedabliu le inefficienze di un sistema che non ha protetto né gli ospiti delle RSA, né gli operatori sanitari.
“Non si è ragionato sul fatto che le RSA, per la fragilità degli ospiti e per il fatto che non si potevano isolare come una fabbrica, un mercato o un negozio, potevano diventare un focolaio importante dell’epidemia”, continua Borchi che poi ci spiega come gli operatori continuassero ad andare avanti e indietro dalle case di riposo: “Veicolo del contagio potrebbe essere stato il fisioterapista o l’infermiere o addirittura l’ospite. Avevo anziani che due, tre volte alla settimana andavano in dialisi per poi tornare in struttura. E questo significa che erano accompagnati da almeno un operatore di una Pubblica Assistenza”.
Un andirivieni pericoloso e infatti ci fa notare ancora Borchi che “un operatore che portava in dialisi uno dei miei ospiti è risultato positivo al Covid-19“.

E se oggi le residenze per anziani sono diventate sorvegliate speciali, il tempo perso è stato troppo e “il rischio sottovalutato: non si è capito che nel momento in cui il virus entra in una RSA fa una strage. Questo è stato un errore totale di programmazione”, prosegue Borchi che punta il dito anche sulla carenza di informazioni e di materiali: “Le prime mascherine che ci sono arrivate sembravano pezzette per spolverare. Poi venerdì ho ritirato un cartone al centro smistamento della ASL3, al Don Orione di via Cellini. Una scatola con dentro un sacchetto di mascherine, un sacchetto di calzari… Roba che se usata in maniera adeguata, per una struttura come la mia che ha 45 posti letto, dura due giorni stando attenti“.
E allora uno si arrangia e i DPI li compra da sé, ma a caro prezzo: “Una mascherina che costa normalmente 10 centesimi te la vendono a 4 euro. Anche qui si doveva intervenire pesantemente, sequestrare il materiale a questi sciacalli e poi distribuirlo al prezzo reale di mercato”.
In effetti un piano d’azione specifico per le RSA non c’è stato e la responsabilità dell’emergenza sanitaria “è stata abbandonata nelle mani dei gestori che hanno agito ognuno secondo il proprio buonsenso“, racconta Borchi che fa notare come “una delle prime indicazioni che ci sono arrivate è stata quella di limitare le visite dei parenti. La parola vietare non si è mai letta da nessuna parte, in nessuna circolare. Nella mia struttura sono stato io personalmente a vietare le visite, anche scontrandomi con alcuni parenti. Purtroppo non è stato sufficiente: il virus da noi è arrivato attraverso un infermiere che poi purtroppo è anche deceduto“.
Eppure nessuno ha pensato di fare il tampone alle salme degli anziani ospiti: “Ad oggi noi abbiamo avuto 4 decessi, di cui 2 sospetti Covid-19, ma nessuno confermato da tampone o analisi sierologiche. Sul certificato di morte resterà scritto arresto cardiocircolatorio“.
A complicare tutto si aggiunge che la constatazione del decesso, prima a carico della Guardia Medica, oggi viene fatta direttamente dal dottore interno alla struttura, che non ha certo i tamponi a disposizione. Al collega della ASL resta il compito di applicare alla salma il braccialetto di riconoscimento, entro le 24 ore. Quindi arrivano le pompe funebri che chiudono il cadavere nel sacco antivirale e poi nella bara.
A questo punto addio tamponi. E addio chiarezza sui casi sommersi di morti per Covid-19 nelle RSA.

“Quale sia la mortalità nelle case di riposo io non lo so”, continua Borchi che poi conferma che “Alisa ha inviato una mail cui si deve rispondere oggi entro le 18”, nella quale finalmente si chiedono alle 330 strutture liguri i numeri dei decessi.
“Spero che sulla base di questi dati Alisa comincerà a fare i tamponi a tappeto anche sul personale – conclude Borchi – perché la situazione è critica in tutta la Liguria. Io ho un amico gestore di una struttura che è in terapia intensiva“.

Meglio tardi che mai. Ma si sa, l’Italia è quel Paese strano che chiude la stalla quando i buoi sono già scappati…

Simona Tarzia

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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