Coronavirus in Lombardia, fase 2: assoggettare alla politica i medici di base. Il tentativo del governatore Fontana

Milano – Dall’inizio di questa pandemia la politica ha giocato un ruolo primario in Lombardia.

L’importante per il governatore Attilio Fontana era sempre andare contro al governo, urlare più forte, in una campagna elettorale perenne. Una strategia che lo ha portato a dire tutto e il contrario di tutto.
Subissato dalle critiche per la gestione dell’epidemia, si è visto affiancare da Matteo Salvini il proprio portavoce, Luca Pandino. Che ora detta la linea. Per cui, dopo che per un mese Fontana è stato l’alfiere della chiusura, ora l’ordine è: riaprire, essere positivi, minimizzare i dati. E, se possibile, usare la crisi per accrescere potere.
Lunedì pomeriggio il Consiglio Regionale approva il documento sulla cosiddetta ‘Fase 2’. Nel documento vi si legge, fra le altre misure, la volontà di riorganizzare la struttura sanitaria, rendendo i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta “a tutti gli effetti dipendenti del sistema sanitario regionale”. Un’affermazione che ha scatenato l’ira della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale che, criticando in toto il provvedimento, ravvisa in questo passaggio la volontà di “rendere il medico di famiglia succube della politica, come già è avvenuto per i colleghi che lavorano negli ospedali”.

Interpellata da Fivedabliu la dottoressa Paola Pedrini, segretario della Fimmg, aggiunge: “È stata un’affermazione fatta con molta superficialità perché da quello che scrivono non hanno alcuna idea di cosa comporti avere i medici di base alle proprie dipendenze, in termini di costi, strutture e personale ausiliario da garantire. La loro motivazione è quella di una maggiore autonomia nel coordinamento con il sistema sanitario regionale, ma per collaborare con i medici di famiglia sparsi sul territorio, non c’è bisogno che questi siano dipendenti. Si può fare benissimo da liberi professionisti convenzionati. Quindi la motivazione di Regione Lombardia non sta in piedi.

Dottoressa, nel vostro comunicato avete criticato aspramente il documento votato dalla Regione in vista della riapertura, la cosiddetta Fase 2. Per i medici di medicina generale, che hanno il polso del territorio, qual è la situazione?

La situazione del contagio in Lombardia è sicuramente migliorata, le misure di contenimento sociale hanno dato i loro frutti, ma è un’equilibrio precario, dal momento che registriamo ancora nuovi casi. (1161 in tutta la Lombardia solo nella giornata di ieri, di cui 480 nel milanese e 161 in città, ndr.) Strumenti di diagnosi come test e tamponi vedono ancora numeri inadeguati, soprattutto in vista di una riapertura. Qui a Bergamo l’Ats sta facendo 300 tamponi al giorno in tutta la provincia. Numeri ridicoli, ammesso vengano fatti tutti, se si pensa a tutti i lavoratori che sono stati sintomatici e che a giorni dovranno rientrare al lavoro.

Quali sono per voi i numeri reali del contagio?

Sono almeno 10 volte i numeri ufficiali per le province più colpite e 5-6 volte tanto nel milanese, dove il contagio è in aumento.

In queste condizioni e con queste modalità si può riaprire?

Noi non siamo contenti di dover lavorare al telefono e che intorno sia tutto chiuso. Il problema è che per ripartire bisogna essere pronti, altrimenti rifaremmo gli stessi errori. Al momento non abbiamo un sistema adeguato di diagnosi per coloro che hanno sintomi lievi e non necessitano del ricovero ospedaliero. Manca un tracciamento dei contatti e un adeguato isolamento. Alla riapertura sarà inevitabile riavere dei piccoli focolai. La cosa importante è riuscire a riconoscerli e limitarli subito. Se non saremo in grado di farlo, si riproporrà il disastro come nella fase 1.

E voi siete stai messi nella condizione di poter affrontare questa seconda fase?

Per quanto riguarda i dispositivi di protezione personali siamo ancora lontanissimi. Abbiamo alcune mascherine ma assolutamente non kit completi. Per altro quel poco che abbiamo ci è arrivato da donazioni, non dalla Regione o dall’Ats.
Per la gestione della nostra quotidianità ci stiamo organizzando con servizi di telemedicina e telemonitoraggio, in modo da mantenere sotto controllo i pazienti senza un contatto fisico. E questo vale anche per coloro che soffrono di patologie croniche, che hanno visto tutti i loro controlli sospesi per l’emergenza.

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