Stiamo tutti aspettando di poter riacquistare un po’ di libertà di circolazione con l’inizio della fase 2, che rappresenterà un primo segnale di sconfitta del virus, e che allenterà anche la morsa in cui versano tutti coloro che si stanno impegnando, senza risparmiarsi, per la salute e la sicurezza dei cittadini. La voglia di normalità è diffusa e il ritorno al lavoro, oltre ad essere necessario per motivi di sopravvivenza, lo è anche per riallacciare i rapporti sociali.
Ma esistono “zone grigie”, che mescolano vite e ruoli sociali e di cui bisogna tenere conto. Questa considerazione è introduttiva a una nota che il Sindacato Nazionale Autonomo di Polizia Penitenziaria (Si.N.A.P.Pe ) ha inviato proprio per chiedere che vi sia un’attenzione particolare alla situazione nelle carceri.
“Mentre si è in fervida attesa che il presidente Conte presenti il piano d’azione che permetta la graduale ripartenza del Paese, la famosa fase 2, pare che il carcere stia ancora approssimandosi ad una pericolosissima fase 1.
Questo non perché si viaggi a velocità differenti ma perché, probabilmente, le peculiarità di un sistema quale quello penitenziario non hanno conosciuto la giusta analisi.
Lungi dal voler fare rocamboleschi parallelismi fra il “dentro” e il “fuori” ci limitiamo a sintetizzare nuovamente il concetto di assenza di distanziamento sociale all’interno delle mura penitenziarie. E questo non solo perché le attività tipiche di polizia e controllo impongono una vicinanza fisica fra il poliziotto e il detenuto (si pensi alla perquisizione personale, solo per fare un esempio); o ancora, non solo perché il tasso di sovraffollamento delle strutture penitenziarie è sempre stato preoccupante! Ci sono altri fattori che – a parere di chi scrive – non sono stati sufficientemente scandagliati.
Quando lo Stato si è trovato a dover ragionare di “carceri” all’inizio dell’emergenza, ha affrontato il tema dei colloqui, ha provato ad affrontare il tema del sovraffollamento, ma nessuna analisi è stata condotta in relazione alla quotidianità penitenziaria che non è fatta solo di condivisione di una stanza occupata da più persone. La quotidianità penitenziaria è fatta, spesse volte, di docce in comune, di area passeggi in comune, di sale per la socialità in comune; in altri casi è fatta di sistemi detentivi a celle aperte.
Se consideriamo che in una sezione di medie dimensioni i reclusi ospitati raggiungono agevolmente le 100 unità, in termini numerici quale è la soglia al di sotto della quale si può non parlare di assembramento? È assembramento la contemporanea immissione ai passeggi di un certo numero di detenuti? Lungi dal voler far passare il messaggio distorto della perorazione di un sistema “chiuso” in ogni senso, con tutti i rischi che ciò comporterebbe nella pratica gestione del detenuto, che farebbe conoscere un picco nei fenomeni aggressivi, di certo non può non riflettersi sul fatto che nei penitenziari italiani continuano ad essere aperte le barberie, continuano ad essere aperte le sale attrezzate a palestra, le biblioteche, le sale socialità, continuano a svolgersi sport di squadra. Ergo, nei penitenziari italiani il concetto di “isolamento” continua ad afferire unicamente ad aspetti sanitari o disciplinari, ma nulla ha a che vedere con le previsioni della legislazione anti-covid.
Se tutto questo poteva avere un senso quando agli albori si pensava al carcere con una “Torre di Davide” all’interno del quale il virus non poteva entrare, attraverso la minimizzazione della relazione interno/esterno, la storia ci ha tristemente dimostrato un’ulteriore fragilità del sistema: in carcere il virus c’è!
Personale sanitario positivo (e nei casi più gravi si sono registrati decessi), detenuti positivi (e anche qui si contano alcuni decessi), poliziotti penitenziari positivi (e anche il Corpo ha pagato il suo tributo al terribile virus).
Ebbene, quale sarà la fase 2 per i cittadini del Carcere?
Le anticipazioni giornalistiche parlano di una fase 2 per la popolazione fatta di obbligatorietà delle mascherine e di prosecuzione del distanziamento sociale. Come si attuerà (se si attuerà) questa previsione al di là di quelle “mura”? Vi sarà la fornitura delle mascherine (il cui difficile approvvigionamento è cosa nota) per tutta la popolazione detenuta?
Era il 9 marzo quando il Ministro annunciava l’istituzione di una “task force” che coinvolgeva le unità di crisi del DAP e del DGMC. Nella presentazione si diceva di un “continuo contatto con le rappresentanze della polizia penitenziaria”. A distanza di un mese e mezzo, si può affermare che gli annunciati “contatti” più che continui sono stati latenti. Ad oggi alcun coinvolgimento nei processi decisionali si è apprezzato da parte del palazzo di Via Arenula, al contrario continuano ad affastellarsi interrogativi senza risposte, come quelli che abbiamo sopra snocciolato.
Sulla base di queste riflessioni è il caso che i Presidenti in indirizzo, componenti della precitata task force, interloquiscano con l’organo collegiale e richiedano di tener fede all’impegno dei “contatti” cui si faceva sopra richiamo, anche per affrontare congiuntamente i temi prospettati”.
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