È un periodo di buoni sentimenti e di grandi parole, come resistenza (al virus), coesione, eroismo, comunità e comunione (d’intenti), ma anche di “carità”, come i 600 euro per le piccole partite IVA che si stanno spegnendo dopo una progressiva proletarizzazione che dura da anni. Ma è anche tempo di doni, o se preferite gratuità, spesso fatti con animo disinteressato altre volte con spirito un po’ più “peloso”. Di certo esiste, nel gesto di donare, un rapporto di subalternità che ricorda un po’ quello tra padrone e servo, soprattutto in tempi di particolari condizioni sociali o politiche in cui il dono può assumere anche un significato più sinistro, dalla morale scricchiolante e per certi versi offensivo e anche ruffiano. Il regalo, ha in sé solo connotati buoni e si accompagna con altre parole nobili e positive come solidarietà, fratellanza, amicizia, amore, legame sociale e quindi appartenenza.
Ma la gratuità e il dono, si muovono su un terreno sdrucciolevole quando il bel gesto arriva da un potente o da un politico, in un momento di difficoltà per le persone o la comunità che lo riceve. Nasce il dubbio che questo atto non sia poi così disinteressato e nasconda altro. Quando le posizioni sociali non sono equilibrate e il regalo copre una necessità primaria, allora il gesto si ribalta su un piano che non è più quello mosso dall’aiuto disinteressato perché si trasforma in una concessione benevola dove la subalternità tra chi dona e chi riceve è evidente. Per dirla in soldoni, se percepisco il reddito di cittadinanza e per regolamento non posso comprare su internet, l’unico modo per avere le mascherine, in questo momento di emergenza sanitaria, è aspettare di riceverle da chi deve fornire gli strumenti necessari per la mia salute. Così come, in previsione della riapertura di alcune attività produttive a partire dal 4 maggio, ci sono cittadini che potrebbero anche non avere i mezzi necessari per acquistare i DPI necessari per andare al lavoro. Il regalo, la gratuità, si trasformano in questo frangente in un’operazione che moralmente mette il ricevente in obbligo verso chi dona. Il dono diventa una regalia, anche un po’ volgare, e l’aspetto nobile svanisce mangiato e digerito da un rapporto quasi “clientelare” nei confronti di chi da lassù ha mandato l’aiuto quaggiù. Diventa ricerca del consenso, dell’applauso, del like, e il regalo si trasforma in una captatio benevolentiae magari in vista di una tornata elettorale. Le mascherine sono un diritto e fornirle è un dovere di chi ha la responsabilità della salute dei cittadini.
fp
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