Genova – “Il peggio deve ancora venire. Noi temiamo moltissimo il mese di maggio e il prossimo mese di giugno perché le ultime settimane hanno mostrato una flessione importante delle importazioni”. È Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto, l’associazione degli spedizionieri genovesi, a lanciare l’allarme: “A fine aprile il trend negativo è stato del 30% e il rischio è che il segno meno si confermi anche nei prossimi mesi”.
Con il lockdown l’Italia ha praticamente chiuso la produzione e la vendita al dettaglio, i consumi sono crollati ed è crollato anche l’acquisto dei beni verso l’estero. Un grosso colpo all’economia portuale visto che l’80% delle movimentazioni merci avviene via mare, attraverso i contenitori.
“Sono numeri preoccupanti”, conferma Botta che poi precisa: “Noi dobbiamo immaginare che quello che arriva via mare non serve soltanto al consumatore, ai supermercati e ai negozi. Tanta parte delle merci vanno alla produzione e ci sono intere filiere produttive che sono rimaste ferme. Penso alla siderurgia, all’industria, all’elettronica, all’automotive” che sono in ginocchio e che “non sarà semplice riavviare senza un corretto rifornimento di materie prime”.
Dall’inizio dell’epidemia, solo nel porto di Genova la contrazione dei TEU è stata di alcune decine di migliaia al mese, un numero che su base annua è spaventoso. Continua Botta: “Perdere 20-25.000 contenitori al mese vuol dire perdere 250-300mila TEU in ragione di anno. Se pensiamo che il nostro porto fa 2milioni e 600mila TEU l’anno si tratta una perdita molto rilevante”.
Non solo. Sulla rotta Mediterraneo-Far East, la direttrice di traffico che alimenta i maggiori volumi dei nostri porti, sono state annullate 15 partenze su 40. Di più: i numeri ci parlano anche di sette rotte cancellate, un’ecatombe: “La contrazione dei consumi ha fatto sì che non ci fossero merci da caricare sulle navi”, spiega Botta aggiungendo che “a questo punto gli armatori hanno fatto la scelta di tagliare le navi e utilizzarne di più piccole perché l’eccesso di stiva avrebbe generato perdite enormi“.
È un cane che si morde la coda. Per prima si ferma la Cina, “che è il polmone produttivo del mondo e adesso, che ha ricominciato a produrre, sono fermi i mercati di destinazione delle sue merci”, dichiara Botta che sul futuro non si sbilancia: “Se tutto riprenderà con prudenza, a partire dalla metà di giugno potremmo assistere al recupero dei volumi pre-Covid. Ma avremo comunque perso molto. Questa è la speranza. Poi è chiaro che le speranze devono avere conferma nella realtà e purtroppo si teme la scarsa propensione agli acquisti che le persone avranno dopo un’emergenza del genere”. Il mondo che si avvia alla fase 2 è un mondo di disoccupati, cassaintegrati, poveri, che non sono propensi a spendere o perché cercano di risparmiare o perché proprio non hanno un soldo.
Un’emergenza liquidità che per le aziende si traduce in un grosso ostacolo al pagamento di dipendenti e fornitori: “Come Spediporto abbiamo avuto un confronto con gli istituti di credito del territorio e siamo rimasti sconcertati di come non sia cambiato nulla. Chi, prima del Covid, aveva accesso facilitato al credito in virtù di un rating positivo continua ad avere facilitazioni. Chi zoppicava prima, a questo punto non camminerà più. Le banche non prestano soldi se non ci sono garanzie, poco importa se lo Stato ti garantisce l’80-90%, quello che a loro interessa è la parte che rimane scoperta”, accusa Botta che poi si scaglia contro l’eccesso di burocrazia: “Anche le difficoltà per le istruttorie sono rimaste le stesse, sono lunghe, dispendiose perché spesso tra te e la banca c’è un intermediario. Poi non dimentichiamo che il sistema bancari italiano negli anni si è affidato sempre più alla digitalizzazione e ora che servirebbero gli uomini per fare le pratiche non ci sono“.
E se il meccanismo si inceppa le imprese vanno a bagno: “Una delle nostre preoccupazioni è che senza un impegno a livello politico, bancario e amministrativo in favore delle imprese, il mondo operativo post-Covid sarà diviso in due categorie di lavoratori: quelli del settore pubblico che hanno uno stipendio garantito, almeno fino a quando o Stato potrà pagare, e quelli del settore privato che avranno sempre più incertezze sulla possibilità di essere pagati e di trovare continuità nel lavoro”.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.