Bucci e la toponomastica del “veda un po’ lei”

Se la giornalista “gaffologa” di Sky tg24 tornasse a Genova in questi giorni di fase 2 del Covid-19 e, perdurando nell’errore si avvicinasse a un misconosciuto Marco Bucci apostrofandolo con la frase di rito e rivolgendogli la domanda che molti genovesi si stanno ponendo in questa settimana… “Scusi lei è fascista o antifascista?”, probabilmente avrebbe la ventura di sentirsi rispondere nella stessa perentoria maniera: “Sono il sindaco di Genova, veda un po’ lei”. Risposta buona per tutte le stagioni. Che poi la propensione a un linguaggio almeno un po’ spigoloso deve essere una faccenda di famiglia o peggio di casato. Racconta oggi Michela Bompani su “La Repubblica” che il fratello sacerdote Luca M. Bucci sarebbe intervenuto a piedi giunti con un commento ad un post sulla povera Giovanna Botteri al centro di una vera e propria campagna di body shaming ad un post di un medico che interveniva in favore della professionista: “La Botteri dice cose a suo uso e consumo senza rispetto degli altri, esattamente come si presenta, senza rispetto. Non vedo come si possa scindere le due cose. È proprio una radicals chic (sic) fuori dalla realtà! Si appare esattamente quel che si è, senza sconti!”. E più avanti: “Sobrietà e sciatteria sono cose diverse”… E ancora: “A me interessa di più quello che dice e questo fa problema per la società, come si presenta è lo specchio di quello che è. Non potrebbe presentarsi diversamente da così. Io non slego le due cose, quello che uno è, mostra… Le sue colpe oggettive sono quelle di giudicare il mondo con gli occhi accecati della ideologia falso-sociale, che non guarda o non sa o non vuole guardare alla economia reale”. Poi dopo essersi offerto per qualche lezione di teologia e dottrina sociale risponde ad un’altra utente che lo mette in riga: “Tanta arroganza mi ricorda una persona che porta il suo stesso cognome… ma lei è un sacerdote!”, giustificandosi: “Mi spiace il fraintendimento non c’era nulla di arrogante. Pace e bene”. Gia pace e bene. Che più o meno potrebbe suonare con: “Sono il fratello del Sindaco veda un po’ lei”
Comunque per tornare al Bucci Sindaco e al “veda un po’ lei” originario con tanto di copyright, la nostra giornalista dovrebbe avere la ventura di ricordarsi che in fondo Marco Bucci è il Sindaco di una città Medaglia d’Oro al Valor Militare per essersi liberata da sola proprio dai nazifascisti. Arrivando comunque a un’ipotesi sbagliata. Perché sul tema specifico il chiarimento successivo del nostro sindaco/podestà almeno un po’ la lascerebbe perplessa.

Spiega infatti Marco Bucci proprio in questi giorni sulla decisione maturata in consiglio comunale di intitolare il costruendo porticciolo di Nervi  a Luigi Ferraro, imprenditore genovese e fondatore della Technisub, gia’ pioniere delle immersioni subacquee, ufficiale della Marina Militare decorato con medaglia d’oro al valor Militare, ma ahimè a suo tempo anche ufficiale della X Mas che dopo l’armistizio dell’8 Settembre aderì alla Rsi rientrando nel gruppo Gamma della X Mas: “Ha fatto una scelta e su questo non discuto. Nel senso che c’è chi la pensa in un modo e chi la pensa in un altro e io rispetto ambedue e continuerò a farlo”. Insomma il “veda un po’ lei” all’ennesima potenza. Rincarato se si vuole da un’altra affermazione fatta nel corso della seduta in sala rossa ribattendo all’opposizione che aveva annunciato il voto contrario: “Scandalo è che certe figure fossero dimenticate”.
Ecco, magari se abusando dell’arte dialettica, o di qualche cognizione storica, si  fosse peritato di aprire “Wikipedia” per documentarsi almeno un po’ avrebbe potuto riferire parola per parola la frase con cui Luigi Ferraro, morto a Genova 14 anni fa, alla bella età di 91 anni, tentò di giustificare la sua scelta in quell’8 settembre del 1943: “La causa della Repubblica Sociale per me rappresentava l’impegno d’onore alla parola data. Battersi per essa significava difendere la Patria dal nemico angloamericano e dallo stesso alleato germanico, che dopo l’8 settembre aveva troppi pretesti per non comportarsi più come tale. Battersi per gli angloamericani voleva dire scegliere il campo del più forte”.

Avrebbe potuto fare di più, cercando un minimo di comprensione. Addirittura ricordando un libro di Giampaolo Pansa, scritto nel 2002 “I figli dell’Aquila”. E L’aquila è appunto il simbolo della Repubblica di Salò. I suoi figli sono una generazione che ha scelto la parte sbagliata e sconfitta. “In un Paese – ha cercato di fare capire Pansa – che ama soltanto i vincitori, e adesso più che mai”. E se avesse inteso dimostrare persino qualche amore per la letteratura avrebbe potuto spiegare che “Se nel suo libro precedente, “Le notti dei fuochi”, Pansa aveva narrato la nascita del fascismo, in quest’ultima opera si inoltra nel lato più buio della nostra storia. Forse è il suo libro più duro; probabilmente sarà il più controverso e discusso. Perché è la storia della guerra civile, chiamata così, senza abbellimenti: e per molti, anche dopo il grande libro di Claudio Pavone, parlare di guerra civile comporta ancora una intonazione inaccettabile, l’infrazione rispetto a un’ortodossia, al monumento resistenziale, tragico ed eroico, che “fonda” la Repubblica”.
Ma il nostro sindaco, pardon Podestà, in questo periodo amministrativo in coabitazione con il ruolo di commissario ha sempre dimostrato di non amare molto ne’ la dialettica, democratica o meno, né il confronto.

 

È lo stesso Sindaco che aveva risposto con una lettera contenente un escamotage dialettico – questo sì – al capo dell’opposizione Gianni Crivello che a bruciapelo gli aveva rivolto la domanda: ”Lei è o non è antifascista?”. Un sottile cerchiobottistico gioco di equilibrismo: “Io sono antifascista, come sono anticomunista ed “anti” tutte le ideologie e i regimi dittatoriali che annullano la libertà, uno dei nostri beni primari: la libertà che finisce soltanto dove comincia quella degli altri”.
È lo stesso Sindaco che omaggia i partigiani alle cerimonie del 25 aprile e poi consente a un rappresentante della sua giunta di intervenire con tanto di fascia tricolore alla cerimonia in ricordo dei caduti della Rsi. Ed è un Sindaco che abusando della sua passata esperienza di manager intende lasciare da parte la politica, anzi un po’ si spazientisce se viene attirato in quell’ambito, e misura i risultati a suon di cronoprogrammi.
Insomma il “veda un po’ lei” è il suo marchio, tra irriverenza, ironia e parecchio cinismo, insieme al “next question please” che intende troncare sul nascere ogni possibile inizio di discussione.

Forse per puro amor di dialettica in Sala Rossa avrebbe potuto ricordare alle opposizioni che chiedevano di ripensarci, le motivazioni con cui nel 2013 l’allora sottosegretario alla difesa del Governo di Gianni Letta e l’attuale senatrice PD Roberta Pinotti aveva aderito all’intitolazione a Luigi Ferraro della banchina gigayacht della Marina di Genova Aeroporto: “Esprime apprezzamento per l’iniziativa che rende un doveroso tributo all’Eroe, al Pioniere, all’Imprenditore e di cui ricorda l’impegno per salvare da rappresaglia e distruzione gli stabilimenti della Marzotto di Valdagno svolgendo un’opera di mediazione fra truppe tedesche e forze partigiane.”  E, addirittura avrebbe potuto dare rilievo a quell’opera di mediazione intesa a salvaguardare una realtà imprenditoriale. Ricordando che nel 2001, dopo quasi 60 anni, in una cerimonia all’Accademia di Livorno la Marina Militare Italiana riconosceva e ri-accoglieva Luigi Ferraro come suo Ufficiale conferendogli  i  gradi di Capitano Fregata. Tutti argomenti da valutare, anche se poi Luigi Ferraro, come fosse un irriducibile dei tempi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, non ha mai dimostrato ripensamenti o avuto dichiarazioni di pentitismo.
Ma Marco Bucci sindaco/podestà non è personaggio che ama le discussioni filosofiche in cui si spacca il capello in quattro. È più incline al “credere, obbedire, combattere”E nemmeno poteva avere un senso, probabilmente, ricordargli che in fondo Luigi Ferraro, almeno un molo a lui dedicato, sempre sul mare, nei pressi della Marina Genova Aeroporto, lo aveva già.
Che poi, forse ha ragione perfino lui, mister Bucci, a voler tagliare corto. Perché come sostiene l’ANPI in fondo non si può essere antifascisti a mezzo servizio e l’8 settembre è stato una data spartiacque per chi lo faceva per obbligo, chi per senso del dovere e chi, ancora, per scelta o ideologia. E poi ci sono stati i partigiani che erano un’altra cosa. Ma Bucci non è uomo che prende in considerazione le sfumature o le sottigliezze. Anche se un politico, pur obtorto collo, dovrebbe impegnarsi di più. Anche perche’ lui poi ama definirsi “l’uomo del fare” ne’ piu ne’ meno di un Berlusconi edizione d’antan. Potere dell’antipolitica imperante. Quell’antipolitica che spesso, per semplificazione, oppure addirittura per opportunismo rifiuta la conoscenza storica.

Puntuale e precisa la risposta a Bucci di Filippo Biolè avvocato che in un post scrive: «Ha fatto una scelta e su questo non discuto. Nel senso che c’è chi la pensa in un modo e chi la pensa in un altro e io rispetto ambedue e continuerò a farlo». Marco Bucci. La scelta cui si è riferito ieri in Sala Rossa il sindaco di Genova è quella che aveva fatto Luigi Ferraro subito dopo l’armistizio: aderire alla Repubblica di Salo’ e combattere per i suoi ideali. 
Vediamoli dunque questi valori.
Il Manifesto di Verona approvato il 14/11/43 identificava gli obiettivi del Partito Fascista RepubblicNo nato dalle ceneri del Partito Nazionake fascista per volontà di Hitler, che si è servito di Mussolini dopo averlo liberato e ricollocato a capo di uno stato fantoccio che gli occorreva per usare il nord Italia occupandolo con i propri eserciti nello sforzo bellico contro l’avanzata degli alleati dal sud Italia. Quel manifesto negava ogni liberta’, assoggettata al volere del duce e dell’unico partito. Quel manifesto qualificava gli appartenenti alla razza ebraica come stranieri e nemici della patria.
Poco dopo il 30 novembre 1943 il provvedimento del ministro della Rsi Buffarini Guidi ordinava l’arresto degli ebrei, la confisca dei loro beni e il loro invio nei campi di concentramento. Nello stesso tempo vi fu un’intensificazione della propaganda antisemita e la “soluzione radicale” invocata dal Regime fascista il 2 dicembre 1943 richiamava fin troppo chiaramente la soluzione finale. 
Chi ha fatto questa scelta quindi aveva tutti gli elementi per decidere con cognizione di causa. 
Aggiungo che l’11/9/43 il comandante della X Mas Junio Valerio Borghese, che in una riunione del 9/9/43 coi suoi ufficiali aveva ribadito la lealtà all’alleato tedesco, convocò i suoi marinai alla Spezia e diede loro la libertà di scegliere, spiegando la situazione e dando il permesso di congedarsi a coloro che non se la fossero sentita. La maggioranza di congedo’”. 

Fin qui la ricostruzione storica dell’epoca. E da questo momento il post si Filippo Biolè diventa una durissima requisitoria nei confronti di Marco Bucci. Altro che “veda un po’ lei”. 
Scrive ancora Biolè: “Non intendo entrare ancora una volta in polemica su nomi, intitolazioni e dediche per non cadere nell’ennesimo tranello che fa scadere il confronto in questo noioso, eterno, inutile scontro tra squadre. È fin troppo evidente, tanto più questa volta, visto che i programmati  lavori di ristrutturazione del porticciolo di Nervi devono ancora incominciare.  Preferisco la sostanza e per questo intendo solo denunciare  e richiamare l’attenzione sulle parole pronunciate dal sindaco per motivare la decisione che ho citato verbatim. Pilatescamente il sindaco della città medaglia d’oro al valore Militare ha dichiarato di aver sempre voluto e di continuare a voler rispettare due scelte che sono contrapposte e inconciliabili tra loro, dalle quali sono dipese, rispettivamente, la sorte di migliaia di cittadini e la nascita della Repubblica Democratica che conosciamo oggi; quella che gli ha consentito libere elezioni per essere prescelto dai genovesi per rappresentarli tutti in nome dei valori della Costituzione. Se cosi’ non fosse stato, forse sarebbe egualmente sindaco di Genova, ma per nomina del Governo, visto che sotto il fascismo, ogni tanto fa bene ricordarlo, gli organi democratici dei comuni furono soppressi dal regime e tutte le funzioni svolte in precedenza dal sindaco, dalla giunta comunale e dal consiglio comunale erano state trasferite al podestà. Dire di rispettare quella scelta al pari dell’altra è un insulto e oggi come ieri bisogna avere il coraggio di prendere una posizione. Questa è la mia”.

Per terminare l’arringa facendo riferimento al 5 maggio del Manzoni, mai giorno più indicato, comunque visto che il 5 maggio è anche la Giornata mondiale dell’igiene della mani per cui un’associazione con Ponzio Pilato non risulterebbe affatto pretestuosa: “Ieri era il 5 maggio ed era facile citare chi ai posteri aveva lasciato l’ardua sentenza di valutare la storia. Stavolta siamo noi quei posteri e avendone tutti gli elementi per decidere, dovremmo tutti identificarci in chi fece quell’altra scelta, magari pagando con la vita, per consentirci oggi di godere delle ampie libertà che per 20 anni erano state solo un sogno per molti, perché duramente negate e represse con ogni mezzo coercitivo. Chi dichiara di portare  pari rispetto per chi ha persino combattuto per ideali che negavano principi di libertà ed eguaglianza non può al contempo pretendere gli si creda quando chiede scusa ad un’ebrea che porta ancora sulla pelle i segni dell’Olocausto”.

E a questo punto Biolè affonda il colpo facendo esplicito riferimento alla senatrice a vita Liliana Segre, alla quale il Comune nel novembre scorso ha conferito la cittadinanza onoraria: “Quel rispetto, infatti, è stato tanto convintamente tributato a nome di ogni singolo cittadino genovese, anche in favore di tutti coloro che non avrebbero esitato, come in effetti è stato, a fare la scelta di farla arrestare e deportare. Mettete pure tutte le targhe che desiderate, non mi importa. Sarà il tempo a cancellarne comunque i nomi dalla memoria, fintantoché ci sarà qualcuno che avrà il coraggio  di fare sempre la scelta giusta”.

Insomma un Bucci che una volta tanto dovrebbe cercare di fare pace con la propria coscienza, provvedendo a non tirare troppo la corda degli artifici politici. Infatti di fronte all’ennesima scelta che lascia parecchie perplessità c’è stato persino chi gli ha voluto tributare un qualsiasi trasformismo politico per tenere buoni alcuni recalcitranti membri della sua solida maggioranza incupiti prima dalla sua recente partecipazione all’ultima celebrazione del 25 aprile dove, a causa delle misure del distanziamento sociale, la sua mancanza sarebbe stata un evidentissimo sgarbo all’ANPI, e, in second’ordine, per il conferimento del Grifone d’oro al partigiano novantacinquenne Giordano Bruschi, nome di battaglia “Giotto”, su proposta del capo dell’opposizione Gianni Crivello e dell’ex presidente della Fondazione Carlo Felice Luca Borzani. Uno strategico e mirabile equilibrismo politico, oppure il classico opportunismo del piede in due calzate con quell’espressione tra il beffardo e il faceto pronunciando il più classico “sono il Sindaco, veda un po’ lei”.
Anche se in materia di toponomastica, dopo lo scivolone della passerella pedonale di piazzetta Firpo con dedica poi sospesa a Fabrizio Quattrocchi, il contractor trucidato in Iraq, il nostro sindaco Marco Bucci parrebbe soffrire di un vero e proprio tallone d’Achille.

Senza andar troppo lontano prendete per esempio il nuovo erigendo ponte sul Polcevera, quello alla realizzazione del quale lavora come Commissario e grazie al quale confida di essere riconfermato Primo Cittadino per il prossimo mandato. Prima avrebbe voluto intitolarlo all’Archistar Renzo Piano. Poi di fronte al gentile diniego dell’architetto genovese in consiglio comunale è stato proposto dai CinqueStelle di dedicarlo a Nicolò Paganini, violinista verso il quale si è detto che Genova sia stata matrigna. Giusta presa di distanza dei familiari delle vittime che preferirebbero che in qualche modo venisse ricordata la tragedia del 14 agosto 2018. E comunque è tutto ancora da decidere.

Solo che nel frattempo, visto che già si parla dell’inaugurazione, l’ennesima verrebbe da dire, a destare scalpore è stata una rivelazione durante una diretta Instagram di Amadeus a Fiorello. Insomma “Ama” avrebbe confidato a “Fiore” che “condurrà l’inaugurazione del nuovo ponte di Genova”, con tanto di siparietto riferisce Genova24, “sui costruttori Salini Impregilo (Fabrizio Salini è anche direttore generale della Rai)”. Mi chiedevo appena qualche giorno fa se la pubblicità continua ad essere sempre l’anima del commercio. E sembrerebbe di sì, con il ponte ricostruito dopo la tragedia che è costata la vita a 43 persone, trattato alla stregua di un red carpet qualunque, o  della Prossima Euroflora 2021, oppure adibito tale quale al palco del Festival di Sanremo. Insomma all’orizzonte per le famiglie delle vittime non c’è solo Paganini con la sua ritrosia a ripetersi, c’è anche il  buon “Ama” come se si trattasse di una delle tante repliche de “I soliti ignoti”.

Tanto che Gigliola Piciocchi la sorella dell’assessore Pietro Piciocchi, braccio destro di Bucci, scrive in suo post: “Mah… Mi sa tanto di spettacolarizzazione della tragedia…. È un evento mondano? 43 morti e le loro famiglie avrebbero meritato quantomeno più sobrietà”. Già la sobrietà rivendicata anche in occasione della celebrazione in cui oltre ai soliti Bucci e Toti si è mostrato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Sobrietà che non si addice evidentemente al momento, nonostante il distanziamento sociale del lockdown. Poi però il nostro Sindaco, interpellato direttamente, dice di non saperne niente. Cosa non improbabile vista la propensione delle aziende ad utilizzare la ricostruzione anche per rifarsi un po’ di immagine. A costo di provare a bypassarlo. E comunque se tanto mi da tanto chi lo sa? Anzi, per meglio dire a chi osa avere qualche dubbio: “Sono il Sindaco, veda un po’ lei?”.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.