Medici di famiglia, adesso la sfida si chiama fase 2

Genova – Dimenticati senza DPI nella prima tappa della lotta alla pandemia, oggi i medici di famiglia sono chiamati di nuovo in prima in linea per la gestione della fase 2. Sentinelle del territorio, a loro spetta il compito di prevenire il dilagare dei contagi adesso che il lockdown è allentato e a noi sembra finalmente di aver vinto questa battaglia.

La fase 2 è partita lunedì e io sono preoccupato perché la gente pensa che ormai siamo arrivati al liberi tutti. Le visite in studio sono praticamente raddoppiate e noi come medici del territorio stiamo cercando di mettere delle regole ma molto faticosamente”, ci dice Andrea Stimamiglio, Segretario Regionale della FIMMG, il sindacato dei medici di medicina generale, che poi ci spiega come sia complicato far capire ai pazienti che si riceve solo su appuntamento, “nonostante ci sia un cartello di un metro quadro appeso fuori dal mio studio”, e che non devono portarsi dietro l’accompagnatore. È dispiaciuto Stimamiglio che, infatti, ci tiene a sottolineare che “separarli non è una cosa da medici di famiglia perché da noi sono sempre venuti marito e moglie insieme, padre e figlio. Ma è una questione di sicurezza perché questo significherebbe creare ressa nelle sale d’attesa e sarebbe pericoloso“.

E in effetti anche in questa fase dell’emergenza alcuni stanno dimostrando che rispettare le regole non è proprio nel DNA degli italiani: “Mi è arrivata in studio una persona anziana senza appuntamento per farsi prendere la pressione perché a casa non riusciva a farlo. Ovviamente ho lasciato che restasse ma è stato rischioso perché ha incrociato sia chi era in sala d’attesa che chi stava uscendo”.
Un po’ se lo aspettavano i medici di base che aprendo le gabbie la gente si sarebbe scatenata, “ed emotivamente si può anche capire”, dichiara Stimamiglio che poi però ci riferisce anche che si cominciano a sottovalutare certi segnali: “Fino a due settimane fa, se un paziente aveva tosse e mal di gola, mi telefonava per chiedermi se fosse Coronavirus. Ieri mi è capitato in studio un ragazzo che aveva mal di schiena ma che a un certo punto della visita mi dice che forse aveva preso freddo perché si sentiva il mal di gola e aveva la dissenteria. Lo sa anche lei che questi sono i sintomi classici del Covid, e io mi sono ritrovato a visitarlo a ottanta centimetri, sono entrato in contatto. Ovviamente abbiamo guanti, mascherine e tute, ma voglio dire che lui non si è neanche reso conto di questo. Due settimane fa ci pensavano tutti e oggi non ci pensa più nessuno”.

Distretti sociosanitari

Probabilmente questo assalto agli studi medici dipende anche dal fatto che i servizi sono rimasti congelati per due mesi, insieme alle visite a domicilio: “In questi giorni abbiamo organizzato una squadra di medici di famiglia per ogni distretto sociosanitario – in totale sono 6 a Genova -, che faccia le visite domiciliari. Abbiamo una chat e non stiamo a vedere gli orari, quando uno può lo dice. Noi sappiamo chi è di guardia il giorno dopo e lo chiamiamo per dirgli quale paziente visitare e che problemi ha. Fino ad ora non abbiamo mai avuto turni scoperti”.
Quindi la situazione nella fase 2 è che ogni distretto ha a disposizione una squadra auto organizzata di medici di famiglia, che per legge non possono far parte dei GSAT, e una squadra GSAT costituita dalla Regione e formata da un infermiere e un medico della Guardia Medica.
Eppure nelle dichiarazioni del 30 marzo scorso, il Governatore Toti e l’assessore alla sanità Viale avevano assicurato che entro il 12 aprile sarebbero state 10 le squadre operative dei Gruppi Strutturati di Assistenza Territoriale. Ne mancano ancora 4 per raggiungere gli obiettivi ministeriali di una squadra ogni 50.000 abitanti e viene da chiedersi se il servizio funzioni ugualmente visto che il piano iniziale non é stato rispettato.
“Dopo un primo periodo di confusione assoluta, dovuto anche alla novità, devo dire che adesso funzionano”, conferma Stimamiglio spiegandoci che anche i tempi di risposta sono accettabili: “Fanno la visita entro 3-4 giorni dalla chiamata. Siamo noi che comunichiamo gli estremi del paziente, le patologie, e poi loro ci relazionano dopo la visita. C’è una concertazione per cercare di capire cosa è meglio per il malato e questo è positivo”.
Un altro problema dei GSAT, oltre al numero delle squadre, era la mancanza dei DPI, le tute in particolare, che li ha tenuti fermi a lungo. Oggi “le cose vanno molto meglio di un mese fa, e questo anche per noi. Certo che siamo sempre un po’ in bilico nel senso che le riserve copriranno sì e no 10 giorni“, dice Stimamiglio che teme il presunto picco di metà maggio e ci parla dell’importanza della telemedicina, perché i medici non possono più permettersi di muoversi in un nuovo perimetro ma con vecchie armi: “In questa tragedia è nato qualcosa di positivo, la Regione ci è venuta dietro nelle nostre richieste come la ricetta dematerializzata che noi chiedevamo da molti anni, già dal 2013. In due settimane ci siamo messi d’accordo con chi produce i nostri software, con Liguria Digitale, e abbiamo raggiunto l’obiettivo con la regia di A.Li.Sa. Ora stiamo spingendo per ottenere i risultati delle analisi di laboratorio direttamente sui nostri PC, senza costringere il paziente a fare avanti e indietro per il ritiro. Lo step successivo saranno le televisite perché così non c’è il rischio che passi alcun virus”.
E in effetti l’ABC della fase 2 per limitare i contagi è limitare i contatti: “Si devono muovere le immagini e le informazioni, non il medico o il paziente”, conclude Stimamiglio che poi sulla gestione della riapertura in Liguria sottolinea la posizione dei medici di famiglia: “Riteniamo che tutte le persone che rientrano al lavoro debbano essere sottoposte al tampone perché sappiamo che non sarà facile rispettare le distanze negli ambienti chiusi. Penso anche a chi tornerà a scuola, o nelle università. Ricordiamoci che esistono gli asintomatici positivi che sono diffusori del virus“.
Il messaggio è chiaro, se vogliamo salvare la fase 2 servono più tamponi.

Simona Tarzia

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.