Finalmente abbiamo una dichiarazione di Ali Dhere, portavoce di Al Shabaab, che mantiene il riserbo sulla cifra del riscatto per la liberazione di Silvia Romano. E puntualizza che la cooperante non è stata maltrattata essendo una preziosa merce di scambio. “E poi è una donna, e Al Shabaab ha un grande rispetto per le donne” continua, sempre secondo la nota diffusa dalle agenzie: “Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire, anche perché Silvia Romano era un ostaggio, non una prigioniera di guerra”. Quindi immaginiamo quale sarà il trattamento per le prigioniere di guerra la cui vita, presumibilmente vale poco o nulla.
Circa l’impiego dei soldi del riscatto, il portavoce dichiara, sempre secondo il comunicato, “che verranno usati in parte per acquistare armi, di cui abbiamo sempre più bisogno per portare avanti la jihad, la nostra guerra santa. Il resto servirà a gestire il Paese: a pagare le scuole, a comprare il cibo e le medicine che distribuiamo al nostro popolo, a formare i poliziotti che mantengono l’ordine e fanno rispettare le leggi del Corano”.
Sulla declinazione di Jihad al femminile, che a noi risulta essere invece un sostantivo maschile, presumiamo si tratti di una consuetudine italiana e non di un errore del portavoce, ma sul concetto di “Paese”, qualcosa ci sfugge. Al Shabaab non ha il controllo amministrativo della Somalia, ammazza gente qua e là passando il confine con il Kenya e persegue l’insurrezione islamica in Somalia con una campagna di terrore che si espande nella Grande Africa.
Ali Dhere ha dichiarato, nel merito della conversione di Silvia Romano, che è avvenuta “senza costrizioni… ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva in precedenza. Da quanto mi risulta Silvia Romano ha scelto l’Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato”.
Come avrà letto il Corano una persona che ha dichiarato di aver imparato un poco di arabo parlando con i suoi carcerieri? Forse tradotto? Francamente qualche difficoltà a credere alle parole del portavoce di Al Shabaab l’abbiamo.
“Finora siamo sempre stati etichettati come “terroristi” – osserva – e mi pare una definizione riduttiva per Al Shabaab. Controlliamo gran parte del Paese, soprattutto nelle aeree rurali. Ma siamo presenti anche nelle periferie delle città. Eppure non siamo riconosciuti dalla comunità internazionale, forse perché vogliamo che la Shariʿa sia legge (la Shariʿa non è una legge. NdR) anche a Mogadiscio e perché chiediamo che le truppe dell’AMISON, la missione Unione africana in Somalia lascino il Paese. I principali nemici sono la classe politica corrotta che governa la capitale. Ma diamo anche la caccia a tutti i traditori della Jihad”. “Ognuno combatte la guerra con i mezzi di cui dispone – conclude – gli Stati Uniti hanno i droni, noi i kamikaze“.
E naturalmente, in sintonia con il pensiero semplice stile social ormai globalizzato, Ali Dhere spera di far passare i suoi “Kamikaze” come Trump sdogana i suoi droni, senza però tenere in considerazione il fatto che esiste un pensiero che non è d’accordo né con lui e quelli come lui, né con Trump. Così come è banale la contrapposizione delle due principali religioni monoteistiche che non tengono conto, nella consueta arroganza dei numeri, che ci sono al mondo parecchie persone che si sottraggono volentieri alle crociate da qualsivoglia parte siano organizzate. Mediamente chi ha un fucile in mano ammazza la povera gente, e questo in Somalia e nel Corno d’Africa continuerà a succedere, nonostante gli strati di pittura idealista e religiosa che ogni fazione in guerra dispensa per accaparrarsi fette di opinione pubblica.
Il rispetto di Al Shabaab per le donne, per noi vale quanto le prove schiaccianti del governo americano nei confronti di Saddam Hussein.
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta