Tamponi e tracciamento dei contatti. La cosiddetta Fase 2 è tutta qua. Ma se è così, abbiamo un problema: solo 4 giorni fa il Commissario straordinario all’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri, denunciava la mancanza di reagenti per analizzare i tamponi e chiamava le imprese nazionali e internazionali alla fornitura per almeno 5 milioni di test. “I reagenti sono un bene scarso nel mondo – ha rincarato – in Italia ci sono pochi produttori e spesso non sono italiani”.
Quanto sarebbe importante avere una produzione interna ce lo ha insegnato la penuria di mascherine all’inizio dell’epidemia, il blocco di macchinari medicali nei paesi di produzione e le recenti manovre di presidenti che lavorano per assicurare ai propri concittadini, prima che agli altri, un eventuale futuro vaccino.
La questione non è semplice perché per ogni diagnosi servono 5 tipi di reagenti diversi e non tutti usano gli stessi, dal momento che ogni azienda sanitaria lavora con propri protocolli e metodologie diverse.
Il 10 aprile scorso l’Università degli Studi di Firenze comunica di essere riuscita a replicare uno di questi reagenti, su sollecitazione dell’ospedale di Careggi, che ne era al momento sprovvisto. “Ce ne siamo fatti dare un campione insieme con la scheda tecnica – ha raccontato a Fivedabliu il rettore Luigi Dei – l’ho studiato per un week end e la settimana successiva i miei collaboratori sono riusciti a creare una ‘ricetta’ che era in grado di riprodurre la stessa performance”. Il reagente replicato è quello che viene impiegato nella prima fase dell’analisi, che permette di rendere inattivo il virus senza intaccare la sua parte genetica. Da allora l’Università ne ha prodotti 25 litri, utili ad analizzare 25 mila tamponi. Ci si aspetterebbe che dopo una scoperta simile l’Università venisse subissata di chiamate, che Ministero della Salute e Protezione civile prendessero contatto per avviare una produzione di Stato, magari appoggiandosi allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, che ha sede proprio a Firenze. Invece tutto ciò è avvenuto solo in parte. Più per complimenti di rito che per avviare un progetto.
A raccontarlo è ancora il rettore Dei, che pure non concorda con questa interpretazione: “Dopo la pubblicazione della notizia siamo stati contattati da moltissimi colleghi universitari, ma anche dal capo dell Protezione civile Angelo Borrelli, che ci ha fatto i complimenti. Abbiamo mandato un rapporto di quanto fatto al ministero della Salute e alla Protezione Civile e so che la settimana scorsa è stato portato all’attenzione del Comitato tecnico scientifico, che sta valutando le modalità per veicolarlo a chi eventualmente ne avesse bisogno”. Questo a un mese dalla scoperta.
Nel frattempo, prosegue il rettore, “mercoledì scorso ho provveduto a contattare il Colonnello Antonio Medica, direttore dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, per vedere se è possibile avviare una collaborazione e produzione presso di loro, perché l’università ha un’altra funzione”. Tutto su iniziativa del rettore Dei, che – parole sue – si è “sentito autorizzato a interpellare il Farmaceutico militare dopo aver avuto conferma del fatto che il Comitato tecnico scientifico stava analizzando la questione”.
Luigi Dei non approva la polemica scatenata da chi crede che la scoperta dell’università possa risolvere il problema dei reagenti “perché la questione è molto più complessa – chiarisce – Ho ricevuto una telefonata dal presidente di Regione Lombardia e sono stato messo in contatto con i loro virologi, Mi hanno spiegato che in Lombardia non usano questa procedura. Ai colleghi di Milano ho espresso la nostra disponibilità secondo l’approccio già utilizzato. Se ci mandano le schede tecniche, le studiamo. Stiamo già lavorando anche su altri reagenti, ma per ora devo ammettere che i risultati non sono sufficientemente performanti rispetto agli originali, perché non danno risposte chiare e univoche. Diciamo, per esemplificare, che se la positività viene espressa con una macchia rossa, i nostri reagenti ne producono una rosa, confinando la diagnosi fra i casi dubbi o debolmente positivi. Noi continuiamo a lavorarci, anche se i tempi della ricerca sono più lunghi di quelli dell’emergenza. È comunque importante andare avanti, perché potrebbero essere utili in autunno”.
Sempre che nel frattempo Ministero, Protezione civile, Comitato scientifico e Stabilimento farmaceutico abbiano vagliato a sufficienza.
Chiara Pracchi
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Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
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