Uomini e porci. Storia della mortadella

La storia dell’uomo, la sua alimentazione, la sua sopravvivenza è, che lo si voglia o meno, strettamente legata alla presenza dell’uso del maiale come alimento. Nella cultura dei nonni è rimasto il detto che del maiale non si getta nulla. Confermato dalla presenza, già in civiltà molto remote, di grandi quantità numeriche di porci.
Basti pensare che per molto tempo, durante il medioevo, la valutazione dei terreni avveniva non in base alla qualità della terra o della vegetazione arbustiva, bensì in base al numero di suini che l’appezzamento poteva accogliere. In particolare nell’attuale Emilia, nelle campagne del bolognese, sia i Longobardi che i Franchi basarono la loro dieta alimentare sull’uso di carne di suino.

Tuttavia l’arte dell’insaccato, come nascita, può essere fatta risalire ai popoli del nord Europa e ai tempi in cui non esistevano i frigoriferi e in cui era cruciale, affermandosi con le scoperte geografiche ma ancor più con la scoperta del Nuovo Mondo, l’uso e il traffico delle spezie. Un vero e proprio business che portò alla ribalta l’utilizzo di pepe, zenzero e altri prodotti nelle cucine e nell’attività conserviera della carne.

Lo stemma dei Salaroli

A Bologna l’arte della preparazione della mortadella attecchì grazie alla corporazione dei Salaroli, come ebbe a scrivere nel 1670 Ovidio Montalbani nel suo libro L’honore dei Collegi dell’Arti della città di Bologna: “…Gli esercitanti l’Arte dè Salaroli in Bologna s’acquistarono fino da gli antichissimi tempi honoratissima fama per le Mortadelle squisitissime bolognesi, le quali sono sempre state di grandissimo grido e di gusto ai palati di lontanissime parti, e massimamente di quei che si dilettano di adornare sontuose e magnifiche le tavole”.

Così scrisse un viaggiatore straniero nel diciassettesimo secolo: “Tagliavano la carne di maiale in piccoli pezzi, lasciando intuire che non sceglievano una parte precisa e dopo averla condita con sale comune, pepe, agli e un po’ di salnitro con essa riempivano budella di manzi. E dopo avere lasciato queste mortadelle per circa due giorni in salamoia le fanno bollire in acqua, avendo cura di cuocerle piuttosto poco che tanto. Poi le appendono alla cappa del camino fino a che siano asciutte. Così confezionate si conservano bene per un anno o due”.

I Salaroli compresero presto che la qualità delle loro mortadelle dipendeva soprattutto dallo splendido contesto naturale dell’immenso patrimonio boschivo di Bologna dove i suini allo stato brado si nutrivano esclusivamente di ghiande e acqua sorgiva.

Facendo un percorso a ritroso, l’etimologia della mortadella del termine latino “myrtatum” rimanda a un prodotto del tempo dei Romani che veniva condito con mirto. Le spezie, sempre fondamentali per la conservazione di beni di consumo alimentare.

Nel Museo Archeologico di Bologna sono presenti dei bassorilievi funerari d’epoca romana in cui sono  raffigurati dei maiali. In un’altra immagine si nota un mortaio, che fa pensare ad un uso rudimentale del pestello per la creazione di questo insaccato che, pur lontano da quello che conosciamo noi, aveva notevoli vantaggi, fra cui quello di durare a lungo, con un congruo condimento di spezie per la loro conservazione, e di servire al seguito di guarnigioni di soldati.

Un testimone d’eccezione della mortadella fu uno scrittore, Vincenzo Tanara, con un suo testo ormai storico, Economia del cittadino in villa, in cui già nel diciassettesimo secolo diede una sommaria indicazione dei quantitativi necessari per la produzione dell’insaccato.

Fondamentale, nella preparazione della mortadella è la qualità del prodotto. Questo ha portato alla creazione di svariate mortadelle nella varietà gastronomica dell’Italia, soprattutto nel norcino dove gli insaccati la fanno da padrone, ma la “Bologna” resta la “Bologna”.

Ma veniamo alla preparazione di questo straordinario insaccato, dice la ricetta: dopo la macinatura, la carne viene impastata, insaccata, cotta e confezionata. L’impasto, prima di venire elaborato, viene congelato a – 18°.
Dopo la macinatura avviene l’aggiunta dei lardelli, ovvero i cubetti bianchi che vediamo nel taglio del salume e le varie spezie. La fase dell’insaccatura, attuata mediante mezzi pneumatici, completa la preparazione. Seguono 24 ore di cottura in forni appositi a temperatura di 70°.
Successivamente vengono private dell’insaccatura da cottura e poste in apposite buste sottovuoto. Una vasca di termo retrazione permette di fare aderire perfettamente l’impasto ed eliminare l’aria.
Con le attrezzature moderne, è possibile ottenere mortadelle dei pesi più svariati, che spesso raggiungono i 30 chilogrammi. A Bologna, su ordinazione, vengono preparate mortadelle che raggiungono anche i due quintali e mezzo.

Mauro Salucci

SALUCCI  SUL WEB
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

Leggi anche:

La storia del tramezzino raccontata da Mauro Salucci

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta