Cosa finisce nelle nostre acque? Dai pesticidi alle micro plastiche: fiumi e laghi usati come discariche

SCARICHI INQUINANTI: LEGAMBIENTE ATTIVA UN SISTEMA DI CONTROLLO ATTRAVERSO LE DENUNCE DEI CITTADINI

Utilizzati per anni come discariche dove smaltire i reflui delle lavorazioni industriali, i nostri fiumi, laghi, acque marine e di costa, e falde sotterranee sono stati contaminati da scarichi inquinanti, e oggi, alle minacce di ieri se ne aggiungono altre non meno insidiose. Dai pesticidi agli antibiotici, dalle microplastiche fino alle creme solari, sono molte le sostanze chimiche che usiamo ogni giorno e che inquinano le nostre acque. Solo qualche settimana fa l’effetto del lockdown ce le aveva restituite più limpide, ma con le riaperture purtroppo l’effetto sembra essere svanito un po’ ovunque.
È per questo che Legambiente, nella giornata di lancio del suo ultimo report, “H₂O – la chimica che inquina l’acqua”, lancia un allarme alla politica: “La riapertura delle attività produttive – commenta Giorgio Zampetti, direttore generale dell’associazione ambientalista ci ha restituito in diverse situazioni anche la riattivazione di scarichi inquinanti nelle acque. Un fenomeno che ha un impatto notevole su corpi idrici in molti casi già compromessi da decenni di inquinamento e oggi minacciati anche dalla presenza dei nuovi contaminanti emergenti. Un rischio per la salute, oltre che per l’ambiente. Di certo non può essere il lockdown la misura per restituirci acque limpide, ma ora che abbiamo tutti visto come sia possibile ritornare ad avere fiumi e laghi puliti, occorre puntare sulle giuste politiche e misure a livello nazionale fin da questa fase di ripartenza. Servono un sistema di controllo e monitoraggio sempre più accurato e uniforme su tutto il territorio nazionale e un’azione di denuncia degli scarichi illegali. Per questo abbiamo deciso di iniziare a raccogliere le segnalazioni sugli scarichi inquinanti da parte dei cittadini che potranno scriverci all’indirizzo mail onal@legambiente.it“.

IL PUNTO SULLE SOSTANZE INQUINANTI
Nella nostra Penisola circa il 60% dei fiumi e dei laghi non è in buono stato e molti di quelli che lo sono non vengono protetti adeguatamente. Sui dati del registro E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register), l’associazione ambientalista calcola che dal 2007 al 2017 gli impianti industriali abbiano immesso, secondo le dichiarazioni fornite dalle stesse aziende, ben 5.622 tonnellate di sostanze chimiche nei corpi idrici.

Secondo l’UE sono 45 le sostanze prioritarie che rappresentano un “rischio significativo per l’ambiente acquatico” e che gli Stati membri sono tenuti a monitorare. Nelle nostre acque se ne individuano due famiglie: sostanze organiche e metalli pesanti, immesse tramite i processi produttivi o gli impianti di depurazione delle aree urbane. Non meno impattanti le migliaia di contaminanti emergenti, cioè inquinanti dai potenziali effetti avversi su salute e ambiente stimati in oltre 2.700 tipologie in commercio, e in gran parte non regolamentati. Tra questi, fitofarmaci, farmaci a uso umano e veterinario, pesticidi di nuova generazione, additivi plastici industriali, prodotti per la cura personale, nuovi ritardanti di fiamma e microplastiche. Il rischio è che, seppur presenti nelle acque in piccole concentrazioni, possano interagire tra loro creando delle miscele pericolose, il famoso “effetto cocktail”.

Sono 130 mila all’anno, invece, le tonnellate di pesticidi usate nella filiera agricola italiana: secondo l’ISPRA, quantità significative di principi attivi e metaboliti di questi fitofarmaci si ritrovano in acque superficiali (67%) e sotterranee (33%), evidenziando la correlazione fra chimica nelle filiere tradizionali e impatti negativi sul sistema idrico. Altro rischio sanitario deriva dai contaminanti nelle attività agrozootecniche: una ricerca pubblicata da The Lancet nel 2018 rivela che in Italia avviene un terzo delle 33 mila morti annue nell’UE da infezioni da AMR (agenti resistenti agli antimicrobici). Nel 2019 l’Agenzia Europea del Farmaco ha evidenziato un uso di antibiotici sproporzionato nei nostri allevamenti1.070 tonnellate all’anno, il 16% dei consumi Ue, con il bacino padano area di maggiore utilizzo europeo.

STORIE DI ACQUE INQUINATE
Sono tanti nel nostro Paese i casi di acque inquinate che da decenni aspettano bonifiche e riqualificazione. Partendo da Porto Marghera in Veneto, primo sito nazionale da bonificare individuato già nel 1998, passando per la Sardegna con il forte inquinamento da metalli pesanti nella zona industriale di Portoscuso e quello da sostanze organiche, solventi clorurati e idrocarburi nella zona industriale di Porto Torres, per arrivare in Sicilia, a Milazzo, Gela, Augusta Priolo e Melilli, aree devastate dalle industrie del petrolchimico.
In mezzo, altri Siti d’interesse Nazionale: dalla laguna di Grado e Marano in Friuli alla Caffaro di Brescia in Lombardia; dai siti toscani di Piombino, Livorno e Orbetello a quelli marchigiani di Falconara Marittima; dalla Valle del Sacco nel Lazio ai siti pugliesi di Brindisi, Taranto e Manfredonia.
Tutte aree dove IPA, PCB, metalli pesanti, diossine, pesticidi e idrocarburi hanno portato a problemi sanitari oltre che ambientali.
E ancora, la Campania, con l’inquinamento del fiume Sarno, “il più inquinato d’Europa”,  e delle falde del Solofra, senza dimenticare la Terra dei Fuochi; la contaminazione del lago Alaco in Calabria, quella delle acque potabili dei comuni metapontini in Basilicata, del lago d’Orta in Piemonte o dell’acquifero del Parco Nazionale del Gran Sasso, in Abruzzo, dove Legambiente è parte civile nel procedimento penale in corso. O ancora il bacino padano, area di maggiore utilizzo europeo di antibiotici negli allevamenti, i cui residui si ritrovano nelle acque.

E questi sono alcuni delle decine di casi segnalati nel dossier “H₂O – la chimica che inquina l’acqua”, compilato anche grazie alla partecipazione attiva dei circoli locali e regionali di Legambiente, indispensabili per il focus sui pesticidi e sul glifosate in Emilia Romagna o, ancora, per gli approfondimenti sull’inquinamento da PFAS, quei composti chimici che rendono le superfici trattate impermeabili ad acqua, sporco e olio. In questo caso le zone interessate sono la provincia d’Alessandria, in Piemonte, dove è in fase di autorizzazione un progetto che prevede l’utilizzo di una nuova sostanza (cC604) dagli effetti potenzialmente dannosi in un’area in cui “l’eccesso di ricoveri e di mortalità è segnalato da anni”; il Veneto, dove l’inquinamento da PFAS è storicamente dovuto allo scarico di un’industria chimica e interessa le province di Vicenza, Verona e Padova, minacciando la salute di 300 mila persone; e la Lombardia, dove l’ARPA ha rilevato PFAS in tutti i bacini della pianura.

Per questo, alla vigilia della Giornata mondiale dell’Ambiente, Legambiente ricorda che la corretta gestione e la cura della risorsa idrica devono essere una priorità del Paese insieme alle bonifiche e al rafforzamento della Direttiva Quadro Acque, che aveva fissato gli obiettivi di una buona qualità ecologica e chimica dei corpi idrici in Europa al 2015, senza nuovi slittamenti e sotto la revisione degli Stati membri.  E poi lancia un appello al Governo, affinché una parte considerevole dei mille miliardi di euro stanziati dall’UE per le politiche ambientali e climatiche finanzi il Green New Deal italiano per favorire il recupero dei ritardi infrastrutturali, l’adeguamento ed efficientamento degli impianti di depurazione e della rete fognaria e acquedottistica, gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.