DURANTE LE PERQUISIZIONI SONO STATI SEQUESTRATI OLTRE 15 CHILI DI DROGA, 4 PISTOLE E 1 GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE. LANCIO DI GABINETTI DALLE FINESTRE CONTRO I POLIZIOTTI
Roma – Maxi operazione antidroga nelle prime ore di stamattina a Roma dove la Squadra Mobile, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Capitale, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 12 persone accusate di far parte di “un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e alla detenzione illegale di armi da fuoco, organizzata militarmente con l’aggravante di essere una consorteria criminale armata“.
La banda aveva la sua base nel quartiere periferico di Ponte di Nona, zona Roma-Est, dove operava tra i caseggiati del comprensorio Don Primo Mazzolari, al numero 300, occupando illegalmente interi spazi pubblici e privati. Da qui, attraverso l’utilizzo di vedette posizionate nei punti nevralgici del quadrilatero, il gruppo teneva sotto controllo la piazza di spaccio ed era in grado di avvisare in tempo reale i suoi pusher dell’arrivo della polizia, permettendogli di disfarsi dello stupefacente e scappare all’interno dei cortili condominiali.
Come sistema di allarme gli spacciatori utilizzavano dei braccialetti in grado di generare una vibrazione al polso, evitando urla e fischi tipici delle sentinelle.
NOME IN CODICE “GIULIO CESARE”
Battezzata “Giulio Cesare” per la convinzione palesata dal gruppo di essere personaggi intoccabili alla stessa stregua di un sovrano con poteri smisurati, l’interra operazione nasce dall’arresto per possesso di droga di Massimo Gabrielli. Di qui, grazie anche alle intercettazioni telefoniche e ambientali, gli inquirenti sono risaliti ai vertici del sodalizio criminoso che si è scoperto costituito da un intero nucleo familiare, quello della famiglia Cesarini. E partendo dalla catena di comando, le indagini hanno consentito di risalire all’identificazione di tutto l’organigramma.
Cosa non semplice anche perché il terrore ingenerato non solo tra i residenti di Ponte di Nona, ma anche tra gli stessi consociati, costringeva gli spacciatori arrestati al silenzio assoluto e quindi ad affermazioni del tipo: “…Che voi cantà! io non so niente, che voi cantà, che devo morì!? ma che stamo a giocà!?”.
Di più. il sistema malavitoso era ritenuto così indissolubile, che generava l’arrendevolezza dei consociati e la convinzione che nulla potesse cambiare: “Può zompare qualcuno, ma non il sistema”.
Per effettuare arresti e perquisizioni sono stati necessari oltre 100 agenti di polizia che, durante le operazioni, sono stati anche bersaglio del lancio di vasi e gabinetti da una delle palazzine.
CHI SONO GLI ARRESTATI
L’organizzazione criminale prevedeva una suddivisione di ruoli e funzioni.
Al vertice dell’organizzazione Claudio Cesarini, detto Cacetto, arrestato già nel 2013 per traffico di cocaina. Un vero “capo famiglia”, nel senso criminale del termine che, usufruendo di diversi legami con la malavita romana, trovava la sostanza stupefacente avvalendosi del cognato, quel Massimo Gabrielli da cui è partita l’indagine. Claudio Cesarini assicurava così periodici rifornimenti di droga ai figli Mirko e Simone dai quali pretendeva i pagamenti dello stupefacente, dispensando direttive e consigli secondo la sua esperienza criminale e preservando il buon funzionamento e lo sviluppo del sodalizio.
I fratelli Mirko e Simone Cesarini ricoprivano ruoli apicali del sodalizio ma in posizione subordinata al padre. Reclutavano giovani pusher, spesso disadattati e bisognosi di guadagnare, garantendo all’occorrenza l’assistenza legale e il sostentamento economico ai “soci” arrestati. Gestivano l’immissione della droga sul mercato. Sono loro ad aver fissato la centrale dello spaccio nel comprensorio di via Don Primo Mazzolari 300.
L’organizzazione aveva poi un suo luogotenente, punto di riferimento stabile e duraturo per la lavorazione, l’occultamento, la detenzione della droga, la contabilità e il pagamento di spacciatori e sentinelle. Si tratta di Nejz Furlan, convivente di Aurora Cesarini, anche lei figlia di Claudio, che favoriva e partecipava stabilmente alle dinamiche malavitose della “famiglia”, nella consapevolezza e volontà di far parte di un’associazione “a conduzione familiare” di cui lei stessa condivideva le sorti e il programma, beneficiando dei ricavati delle vendite di droga.
Ed era “donna di famiglia” anche la moglie di Claudio Cesarini, Barbara Gabrielli, che partecipava attivamente alla consorteria criminosa. Le indagini hanno appurato, infatti, che non era semplicemente a conoscenza dell’attività illecita della “famiglia”, ma ne garantiva la prosecuzione, consapevole di un’associazione di cui condivideva la progettualità, col preciso scopo di usufruire dei proventi illeciti. Incassava somme di danaro da debitori di droga e manteneva contatti e legami malavitosi con personaggi attigui al sodalizio.
Insifine, gli inquirenti hanno identificato i pusher e le “rette”, così si chiamano in gergo i depositari dello stupefacente, attivi presso la piazza di spaccio di Ponte di Nona: Andrea “er fogna” Donadio, Marco “er palla” Pinelli, Mario Padovani, Andrea Padovani e Francesco Grillo.
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Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.