Tucidide e la peste, una pandemia ai tempi di Atene

Tucidide vide la luce intorno al 460 a.C.
La sua famiglia, molto influente e potente a livello economico perché proprietari di miniere d’oro, riuscì a farlo entrare nelle alte sfere militari, ma per errori di strategia la sua attività fu fallimentare, tanto da additarlo come responsabile della sconfitta di Atene ad opera degli Spartani e condannarlo all’esilio per vent’anni. In realtà non si conosce la data di nascita precisa di questo scrittore e storico, ma si presume, come spesso avviene, che nel 430 a.C., quando scoppiò la peste ad Atene, avesse circa trent’anni.

Luciano di Samosata, uno scrittore greco di qualche secolo successivo scrisse un breve trattato dal titolo “Come si deve comporre un’opera storica” parlando proprio dell’esempio di Tucidide, dopo che per secoli questo storico era stato tacciato di varie imprecisioni e inattendibilità.

Tucidide

Tucidide narrò nelle sue “Storie” il propagarsi della peste in Attica.
La raccolta delle popolazioni lungo le alture venne ordinata da Pericle ed ebbe effetti devastanti. Si era al secondo anno della Guerra del Peloponneso e Pericle riteneva che arroccare le truppe e le popolazioni nelle alture avrebbe danneggiato Sparta nelle operazioni militari, sottraendosi alle pianure, ma la contiguità e la promiscuità quotidiana di famiglie e militari fu deleteria, perché si fece avanti una malattia mai vista:

«In nessun luogo si aveva memoria di una pestilenza così grave e di una tale moria di persone. Infatti non erano in grado di fronteggiarlo né i medici, che all’inizio prestavano le loro cure senza conoscerne la natura, e anzi erano i primi a morire in quanto più degli altri si accostavano agli infermi, né nessun’altra arte di origine umana; ugualmente le suppliche nei santuari, il ricorso a oracoli e altre cose del genere, tutto si rivelò inutile; e alla fine, sopraffatti dalla sventura, rinunciarono a qualsiasi tentativo». (47, 3-4).

Occorre tenere presente che in quell’epoca le guerre venivano combattute esclusivamente nei periodi di fertilità dei terreni, quando gli eserciti avevano possibilità di saccheggio sugli stessi, quindi dalla primavera all’autunno. Dopo questi periodi, le dispute cessavano o quasi, a causa del clima avverso e dell’assenza di risorse per sfamare le truppe. L’esercito ateniese, a differenza di quello spartano, non aveva risorse umane all’altezza di una guerra in pianura.
Dove le truppe primeggiarono sempre, invece, fu in ambito marittimo. La marina ateniese espugnò uno ad uno gli isolotti del Peloponneso, mettendo in grave crisi gli antagonisti. Fu invece nel rintanarsi sulle postazioni a protezione da Sparta e dai suoi attacchi che la promiscuità diede il via all’espandersi dell’epidemia.

Tucidide fu molto attento nel descriverne la sintomatologia.

Effetti devastanti sul fisico: una sete continua, incessante, dolori allo stomaco, tosse esasperante e continua su coloro che erano colpiti dal male. Piaghe ovunque. Quelli che inspiegabilmente guarivano, perdevano il contatto con la realtà al punto di non riconoscere i propri cari.
Il desiderio di curare gli altri fu la peggiore fonte di propagazione del male. Una cosa che Tucidide rilevò ed evidenziò fu la solidarietà che spesso intervenne nell’aiutare gli ammalati, segno di una società sana e reattiva, ma contro questo nuovo male ignoto anche questi interventi si dimostrarono addirittura controproducenti, il più delle volte.

Seguì poi il degrado morale in città: proprio in quell’Atene faro della civiltà le leggi iniziano a non essere più rispettate. Spesso furono gli stessi familiari a non prendersi più cura del componente della famiglia ammalato. I cadaveri venivano accatastati all’aria aperta e bruciati, uno sopra l’altro. Anche i luoghi di culto erano pieni di cadaveri ammassati.
Quando venivano abbandonati, finivano in pasto agli uccelli rapaci e ai cani. Anche gli animali, cosa nuova di questo male, nutrendosi dei cadaveri infetti si ammalavano.

In breve tempo la società ateniese si sfaldò non essendovi più, neanche a livello di vita quotidiana, la certezza della pena per i crimini o le violazioni alla legge commesse da chicchessia.

Una società portata al disfacimento da questa epidemia anche nei valori economici. L’epidemia colpì trasversalmente tutte le classi sociali e i titolari di grandi capitali mobili e immobili morirono senza esercitare la possibilità di successione.
Chi si appropriava dei beni del defunto il più delle volte aveva anche un rifiuto nell’occuparsi della destinazione delle ricchezze. L’unica certezza era quella della morte, prima o dopo, e questo mutò radicalmente la visione della cura dei beni e della loro custodia nel tempo.

L’intento che traspare continuamente fra le sue righe è quello di raccontare i fatti, le decisioni politiche sbagliate che ne agevolarono lo sviluppo per fare sì che quei quei fatti non si ripetessero in futuro.
Queste riflessioni di pezzi di storia antica possono farci riflettere sui pezzi di storia contemporanea di cui siamo protagonisti.

Mauro Salucci

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Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

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