Strage di via Palestro, Sala: “Il Pac è diventato luogo simbolo della resistenza alla mafia”
Milano – La cultura come vaccino nella lotta alla criminalità organizzata. È il messaggio lanciato dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, nel corso del suo intervento alla cerimonia per la commemorazione delle cinque vittime della strage di via Palestro.
“Diffondere la cultura, con i musei e con le scuole, è un vaccino contro la criminalità”, ha detto il primo cittadino milanese precisando che, dopo l’attentato del 27 luglio 1993, il Padiglione d’Arte Contemporanea è diventato “un simbolo della resistenza alla mafia. È un tesoro di bellezza, meta del turismo culturale italiano. È vero che il successo del Pac non cancella l’orrore di quelle cinque vite annientate dal male, però ci incoraggia”.
E questo perchè “chi ha visitato il Pac è diventato un cittadino più libero, con il dono della cultura. Quella libertà che le mafie provano a soffocare con la violenza”, ha precisato il Sindaco che poi ha concluso “le centinaia di migliaia di visitatori del Pac sono stati una delle tante sconfitte che Milano ha inflitto a chi ha messo quelle bombe. Un rumore che ci ronza ancora nella testa insieme al calore di quella notte infinita, che si spegne quando sappiamo che un bambino o un giovane legge la nostra Costituzione a scuola. Grazie a quella lezione, grazie agli eroi che sono gli insegnanti, siamo convinti che diventerà un partigiano contro la mafia”.
L’attentato di via Palestro: la Fiat Uno
Intorno alle 22:45 del 27 luglio 1993 una giovane donna bionda, sui trent’anni, fu notata mentre parcheggiava una Fiat Uno in via Palestro a Milano, di fronte al Padiglione di Arte Contemporanea.
Secondo la testimonianza di due passanti, la donna poi si dilegua su un’altra auto insieme a due uomini.
Del fumo bianco e 100 kg di tritolo
Alle 22:55 una pattuglia della Polizia Locale che aveva a bordo Alessandro Ferrari e Catia Cucchi, venne fermata da una coppia di passanti perché da una Fiat Uno parcheggiata di fronte al PAC usciva del fumo bianco.
Dopo un veloce sopralluogo i vigili avvertirono via radio la sala operativa chiedendo l’invio di una pattuglia dei Vigili del Fuoco.
Poco dopo arrivò sul posto la squadra di via Benedetto Marcello che, una volta aperto il cofano, notò un pacco attaccato con del nastro adesivo e dei fili elettrici. In un secondo tempo, le indagini stimarono che si trattava di almeno 100 kg di esplosivo dello stesso tipo usato a Firenze per la Strage di Via dei Georgofili, il 27 maggio.
Scattò l’allarme bomba: la zona vene evacuata, la strada e le auto in transito subito bloccate.
Alle 23:14, mentre si aspettava l’arrivo degli artificieri, l’auto saltò in aria e uccise il vigile, Alessandro Ferrari, e tre pompieri, Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno.
Con loro morì anche Driss Moussafir, un venditore ambulante di origine marocchina, colpito da un pezzo di lamiera mentre dormiva sulla panchina di fronte.
L’onda d’urto dell’esplosione frantumò i vetri delle abitazioni circostanti, distrusse il muro del Padiglione d’Arte Contemporanea e danneggiò la vicina Galleria d’Arte Moderna. Ma non finì così. Un altro scoppio, alle quattro e mezza del mattino provocò danni devastanti al Padiglione, alle opere d’arte e alla vicina Villa Reale.
La causa fu la rottura di una tubatura sotterranea del gas, danneggiata dalla prima esplosione.
Cosa Nostra e il pescatore
La sentenza per le bombe di Cosa Nostra del 1992-93 è arrivata nel 1998. Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per la strage di via Palestro sono finiti in carcere i mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille.
Esecutori materiali dell’attentato furono Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Antonio Scarano, Salvatore Grigoli e Antonino Mangano, quest’ultimo capo della famiglia di Roccella.
Nel 2002 la Procura di Firenze, che indagava anche sulla Strage di via dei Georgofili, ordinò l’arresto dei fratelli Tommaso e Giovanni Formoso.
Uomini d’onore di Misilmeri, spiccarono nelle indagini come aiutanti di Lo Nigro e autori materiali della strage. La Corte d’Assise d’Appello di Milano li condannò all’ergastolo nel 2003, pena confermata anche in Cassazione.
Ma è una storia intricata quella di via Palestro, dove finì in manette persino un pescatore: Cosimo D’Amato.
Cugino di Cosimo Lo Nigro, fu il super pentito Gaspare Spatuzza a puntare il dito contro di lui nel 2012, accusandolo di aver fornito l’esplosivo utilizzato in tutti gli attentati di quegli anni: da Capaci a via d’Amelio, da via dei Georgofili a via Palestro.
Pare che trovò il tritolo nel Golfo di Palermo, in residuati bellici recuperati in mare.
Nel 2013 D’Amato venne condannato all’ergastolo con il rito abbreviato dal GUP di Firenze, condanna diventata definitiva nel 2016.
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