Depositi Iplom, l’esperto: “Non è solo puzza, è veleno”
Genova – La puzza è nell’aria, a Fegino. Stagione dopo stagione, anno dopo anno, continua ad avvelenare la vita dei residenti senza che nulla si muova. Eppure non è difficile immaginare cosa possa produrre nei cittadini un’atmosfera così malsana.
E se non fosse chiaro ce lo spiega Valerio Gennaro, già epidemiologo del San Martino e attivista dei medici per l’Ambiente, che ci illumina sui danni che può provocare alla salute questo odore persistente di uova marce: “Sento parlare soltanto di emissioni odorigene che arriverebbero dai depositi petroliferi Iplom, come se la gente di Fegino avesse la puzza sotto al naso, come fossero dei paranoici che sentono le puzze. Ma qui invece parliamo di mercaptani, sostanze solforose che sprigionano un fetore da morire perché si tratta di zolfo. E lo zolfo è tossico”.
Non ha dubbi Gennaro sulla pericolosità della situazione e aggiunge: “Non si possono respirare sostanze solforate perché, anche se non sono cancerogene, fanno male ugualmente e il danno alle vie respiratorie da inalazione di gas irritanti è riconosciuto”.
Di più: “In questo periodo si aggiunge anche l’effetto caldo, per cui molti idrocarburi evaporano e se non c’è vento ricadono in zona”.
Gennaro sta parlando degli IPA, gli idrocarburi policiclici aromatici. Potenzialmente cancerogeni, in realtà l’evidenza di cancerogenicità sull’uomo relativa a singoli IPA è estremamente difficile, poiché nella realtà si verifica sempre una co-esposizione simultanea a miscele complesse di molte decine di IPA.
E qui arriviamo a un altro punto critico.
Un micidiale cocktail di inquinanti
C’è qualcosa che preoccupa Gennaro più dello zolfo e degli odori molesti. È l’aria malata per il cosiddetto cocktail di inquinanti, un miscuglio di gas e polveri sottili che derivano anche dal traffico, micidiale in questa zona.
“Il vero problema è che magari ogni sostanza presa singolarmente rientra nei limiti di legge ma in realtà insieme, combinate, producono un effetto tossico sulla salute che spesso non sappiamo nemmeno quale sia”.
E poi c’è l’incognita dei tempi di esposizione: “Magari la media annuale è sotto il livello di attenzione ma durante l’anno ci sono giorni in cui si registrano sforamenti. Magari si sfora solo di mezz’ora ma se uno se la becca, quella mezz’ora lì è di veleno. E uno cosa fa? Trattiene il respiro per rientrare nella media?”.
Che fine ha fatto l’Osservatorio Ambiente e Salute del Comune di Genova?
Non usa mezzi termini Gennaro che poi, anche a nome dell’associazione Medici per l’Ambiente, chiede a gran voce che sia riattivato l’Osservatorio Ambiente e Salute del Comune di Genova, “già deliberato tre giunte fa”, ma che è stato “tenuto fermo”. Un peccato perché “era concepito bene: c’eravamo noi come associazione di volontariato, poi c’erano ASL, ARPAL e assessorato all’ambiente del Comune che finalmente potevano parlarsi ufficialmente, c’era l’università, e c’era l’IST. Tutti i soggetti che con differenti competenze potevano parlare del nesso che esiste tra il danno all’ambiente e le conseguenze sulla salute”.
Quindi lancia l’idea di fare tre mesi di monitoraggio su Fegino anticipando anche che in base all’ultimo studio sulla mortalità nei quartieri genovesi, la delegazione se la passa molto male: “Quelle zone lì, Fegino, Bolzaneto e Rivarolo, sono dei disastri. Sono peggio di Taranto“. E se lo dice lui che ha guidato il team di indagine sull’ILVA, le istituzioni dovrebbero saltare sulla sedia.
Ma a chi toccherebbe intervenire?
“La salute è responsabilità del Sindaco. È lui che deve chiedere i dati alle ASL e all’ARPAL”, risponde Gennaro aggiungendo con una nota giustamente polemica che è “lui il responsabile del fatto che si continuino a rilasciare le autorizzazioni ai depositi in città, in mezzo alle case. Come a Multedo. Volendo, questi permessi potrebbe anche revocarli”.
In questo caso però gli interlocutori sono tanti, Regione e Città Metropolitana comprese, e dunque il gioco è quello solito dello scaricabarile e chi ci rimette siamo noi.
Ma come si misura la puzza?
In mancanza di un monitoraggio vero e proprio, limitarsi a misurare la puzza complica le cose: quand’è che il cattivo odore diventa reato?
“Se manca la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testi, specie se a diretta conoscenza dei fatti”.
Lo scrive la Corte di Cassazione che poi sembra lanciare un assist al Comitato di Fegino che da anni denuncia il fastidio fisico di dover respirare quest’aria malata, insieme al disagio psichico di chi vive a finestre chiuse.
I giudici di piazza Cavour infatti precisano che la prova “può desumersi anche dalle reiterate denunce e segnalazioni da parte dei vicini e dai ripetuti accertamenti dell’autorità preposta ai controlli”.
Non è molto ma è già qualcosa.
Conclude Gennaro: “I problemi si possono risolvere, anche quelli che sembrano irrisolvibili. L’ho visto nei miei 40 anni in giro per l’Italia dietro alle vertenze ambientali, i comitati possono farcela”.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.