Milano – Arriva il primo bilancio degli effetti del lockdown sulla fauna selvatica in Italia e ha due facce: a fronte di una minore mortalità e una maggiore riproduzione per diverse varietà di animali, si è osservato un aumento importante della diffusione di specie invasive non autoctone. Un problema aggravato dalle difficoltà per parchi e aree protette a portare avanti le loro attività di conservazione della biodiversità e protezione delle specie minacciate.
Lo indica uno studio dell’Università Statale di Milano pubblicato sulla rivista Biological Conservation.
La rivincita dei rospi
I ricercatori hanno preso in esame le foto degli animali che si spingevano in ambienti inusuali riportate durante il lockdown da media e social network: hanno poi incrociato queste informazioni con i dati di monitoraggio che è stato possibile raccogliere in accordo con le restrizioni imposte e con un questionario distribuito ai gestori dei parchi italiani.
Dai risultati emerge che per alcune specie il periodo di assenza di disturbo da parte dell’uomo ha rappresentato una felice parentesi: rospi e rane, che negli anni passati morivano a migliaia sulle strade, sono riusciti a raggiungere indisturbati laghi e stagni per riprodursi, mentre diverse specie di uccelli come il fratino e il rondone hanno beneficiato della maggior quantità di cibo a disposizione e del minor disturbo nei siti di riproduzione.
Esplosione delle specie aliene
Purtroppo, però, la quiete del lockdown ha favorito anche la diffusione di animali introdotti e invasivi: è il caso del coniglio di Silvilago, una piccola lepre di origine nordamericana che dall’essere principalmente notturna è passata all’attività anche nelle ore diurne, con maggiori probabilità di diffondersi ulteriormente.
In aumento il bracconaggio
Allo stesso tempo, la maggior parte dei parchi ha avuto difficoltà nell’effettuare le azioni di gestione della fauna: nel 44% dei parchi nazionali e regionali contattati è emerso un forte rischio di fallimento di azioni di gestione già intraprese, non solo per il contenimento delle specie invasive, ma anche per la protezione di specie minacciate, a fronte di un aumento delle attività di bracconaggio.