Il 27 luglio 1970 moriva a Lisbona Antonio Salazar, dopo una dittatura durata oltre quarant’anni.
Ex seminarista, come Stalin. Dopo una nomina nel 1928 a Ministro delle Finanze, quattro anni dopo divenne Primo Ministro. L’immagine che da subito volle dare alle masse fu quella di un amico dell’agricoltura. Figlio di un fattore e destinato dapprima alla carriera ecclesiastica, venne notato e inviato agli studi universitari, in cui ebbe successo, fino a divenire egli stesso un docente. La sua grande abilità fu quella di sfruttare l’appoggio del vescovo di Lisbona, di cui era amico, e fondere il potere politico, quello religioso e quello corporativo fino alla creazione di una efficientissima polizia politica che seminò in seguito il terrore nell’intero Paese. Era nato l’ Estado Novo.
Le analogie con Benito Mussolini
Le analogie con la figura di Benito Mussolini sono notevoli, in particolare questo suo attaccamento alle radici contadine, ma anche differenze d’immagine, perché Salazar riuscì sempre a rimanere defilato e a dare l’impressione, ma solo quella, di non sapere cosa veramente accadesse in Portogallo negli anni della sua reggenza. In realtà la PIDE (Polizia internazionale di difesa dello stato) aveva un unico referente, il dittatore.
In attività giorno dopo giorno, a tutte le ore, la PIDE era un tribunale speciale che sanzionava penalmente qualsiasi forma di dissenso o associazionismo con barlumi di protesta o sciopero. Si arrivò a una massima alquanto chiara e inquietante: “In Portogallo è proibito tutto ciò che non è espressamente autorizzato”.
A migliaia vennero sguinzagliate per il Paese spie anonime e borghesi incaricate di reperire, catalogare e segnalare in luoghi frequentati dal pubblico i nominativi di elementi che dissentivano dalla politica vigente. A capo di questa polizia segreta era un nazista che come molti era fuggito all’estero alla fine della guerra: l’ex agente della Gestapo Rohn Kramer, già comandante del lager di Bergen Belsen.
“Frigideira de Taffaral”
Il fatto di disporre di un arcipelago coloniale immenso agevolò enormemente la creazione di campi di pena, uno dei più famosi fu quello di Tarrafal, a Capo Verde, nell’isola di Santiago. Un luogo di temperature altissime e zone paludose in cui la fuga era impossibile ma difficile anche la sopravvivenza dei detenuti, perlopiù oppositori politici, gestiti in maniera ferrea. Al centro del campo la punizione per chi trasgrediva, la “padella” in portoghese, nei racconti degli internati la “frigideira de Taffaral”, un blocco in cemento armato sotto il sole senza finestre, senza pagliericci per il sonno in cui venivano rinchiusi i soggetti difficili per punizione, con un secchio per le deiezioni e uno per l’acqua.
La più grande punizione, nell’isola era per i detenuti la presenza di sciami di zanzare. Il caldo atroce e la presenza dei micidiali insetti sfiniva i malcapitati che in alcuni casi trascorrevano periodi di quindici giorni nella frigideira.
Quella del Portogallo fu la storia di una grande potenza coloniale: da Capoverde all’Angola, a Macao. Il Governo si guardò sempre dal chiamarle colonie, siglandole come province d’oltremare. A fronte di questa potenza, la situazione del popolo, sotto il regime di Salazar, il quale beninteso riuscì con i suoi provvedimenti a risistemare l’economia, si fece sempre più pesante a livello di sfruttamento delle risorse, spesso al servizio di multinazionali americane.
Per le donne operaie, nessun tipo di tutela. Lavoro fino al momento del parto. Nessun tipo di assistenza medica, sociale e/o sanitaria per i neonati e per l’infanzia. Assenza totale di asili e pesante il trattamento nei confronti della forza lavoro femminile. In alcuni casi le donne vennero costrette al lavoro notturno al posto degli uomini. Di fronte a turni pesanti e alle proteste, le donne vennero sostituite con ragazze di sedici, diciotto anni.
Spettrale durante quegli anni la condizione di vita delle famiglie di operai, che vivevano in baracche, tutte dislocate molto lontano dal centro della città. I proclami dell’epoca parlarono sempre di uno sforzo comune nel nome del bene del Paese. “La rivoluzione è stata fatta per superare quel materialismo che trasforma la vita in un semplice pretesto per mangiare, per dormire, bere, indifferente alle altrui sofferenze, proiezione esterna dei propri atti e per creare un ambiente di sano spiritualismo che dia agli uomini la sana coscienza di non essere semplici animali, destinati a vagare per il mondo e di incerta sorte finché finiscono divorati dai vermi della terra”. Questo era il tenore dei proclami dell’epoca, da parte di Caetano, alla morte di Salazar.
La polizia di Salazar aveva grande libertà di procedere, avendo facoltà di trattenere per 180 giorni iniziali chiunque senza necessità di beneplacito da parte della magistratura. In questo periodo istruttorio non era prevista la possibilità di farsi assistere da avvocati e il periodo di detenzione poteva essere prolungato per altri 130 giorni. La tecnica di prelievo e di arresto dei soggetti da trarre per “sicurezza pubblica” era molto simile a quella delle truppe argentine che agivano in borghese per le strade di Buenos Aires: avvicinato per strada, l’arrestato veniva di forza caricato e bendato su un’auto e tradotto al luogo di detenzione. A differenza di quelli argentini, il luogo di detenzione a Lisbona era ben noto e si trovava in via Antonio Cardoso, nel centro della capitale. Qui il tipo di trattamento che trovarono gli oppositori del regime, fossero maschi o femmine, fu soprattutto quello della privazione del sonno nel corso degli interrogatori anche per più settimane. Tristemente famoso nella prigione un medico, il Dottor Magalhaes del PIDE, incaricato di rianimare tramite iniezioni le vittime per procedere con gli interrogatori.
Nel 1968 Salazar fu colpito da un ictus celebrale invalidante. Poi la morte definitiva, nel luglio del 1970.
Qualcuno pensò che qualcosa cambiasse, ma non fu così. Il Portogallo che aveva spalleggiato il nazismo durante la seconda Guerra Mondiale, col suo leader che aveva fatto le condoglianze a Mussolini e Hitler alla loro morte, mutò poco o niente il tipo di regime instaurato nel paese. Un rendiconto forse difettoso parla di oltre 22.000 persone torturate e assassinate in 40 anni di dittatura.
Mauro Salucci
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta