I primi terroristi della storia sono italiani e rispondono ai nomi di Felice Orsini e di suoi tre complici, Giuseppe Andrea Pieri, Antonio Gomez e Carlo De Rudio
Quel 14 gennaio del 1858 sembrava un giorno qualunque, quando in rue Peletier, a Parigi, nei pressi della vecchia Opera, giungeva la carrozza di Napoleone III scortata dai suoi lancieri. Il popolo era festante a circondare il cordone di sicurezza organizzato per proteggere l’imperatore e la consorte Eugenia. Si trattava di un evento speciale, durante il quale il cantante lirico Massol avrebbe dovuto dare l’addio alle scene.
Tre boati e la carrozza blindata
Improvvisamente seguirono tre boati. Chi riaprì gli occhi ebbe dinanzi uno spettacolo infernale: decine di feriti, 156 in tutto e 8 corpi senza vita lasciati sul selciato dall’attentato. La violenza delle esplosioni capovolse la carrozza reale, dalla quale uscirono illesi i due regnanti. Napoleone III sapeva benissimo delle congiure che maturavano nei suoi confronti. Non a caso la carrozza che lo trasportava era blindata.
La ricerca dei responsabili
Eugenia uscì dall’abitacolo completamente coperta di sangue, perché il generale che accompagnava la coppia venne ferito ad un’arteria e si accasciò sulla donna. Il panico dominò la via e quello che doveva essere un giorno di festa divenne una scena degna dell’inferno dantesco. Nonostante quanto accaduto, lo spettacolo ebbe luogo. Nel mentre la polizia si mise alla ricerca dei responsabili, uno dei quali si era ingenuamente nascosto in un vicino ristorante italiano.
La “bomba a mano” di Orsini
La bomba fabbricata da Orsini precorse l’invenzione della bomba a mano e fu personalmente progettata da lui stesso, passando alla storia come “Bomba Orsini”. Per fabbricare questo tipo di arma esplodente si servì di fulminato di mercurio, aiutato all’uopo da una compiacente fonderia inglese. A dispetto della potenza distruttiva dell’ordigno, che si disgregava all’esplosione in mille frammenti letali, paradossalmente esso tendeva a concentrare la sua azione distruttiva sugli abiti e sulle stoffe. Fu anche questo che fece fallire l’attentato a Napoleone III, alla sua carrozza e alla consorte, mietendo invece vittime innocenti e tantissimi feriti.
Quel giorno lo stesso Orsini rimase ferito a una gamba dalla prima esplosione e non riuscì a fare esplodere sul luogo la bomba nelle sue mani. All’attentato parteciparono altri complici, che vennero arrestati tutti nella città di Parigi. Qui Felice Orsini si era trasferito tempo prima sotto il falso nome di un inglese, Thomas Allsop.
Terrorista o patriota?
Per Orsini Napoleone III era colui che aveva vanificato tanti anni di sforzi e battaglie per l’Italia Unita, proprio lui sul quale negli anni trascorsi parecchi rivoluzionari avevano confidato per il raggiungimento dell’obiettivo della cacciata degli Austriaci e la creazione di un paese libero. Napoleone III era un grande conoscitore dell’Italia e, nella sua permanenza sulla penisola, aveva familiarizzato con molti patrioti: nomi come Ciro Menotti e altri. Poi quella famosa frase, tradita dai fatti: “Se un giorno salirò sul trono di Francia, l’Italia sarà”.
Restava un fatto: che sua rimase la responsabilità di avere stroncato la repubblica romana, consentendo l’insediamento del papa. L‘idea di uccidere Napoleone III era stata accarezzata anche da Giuseppe Mazzini e dai suoi uomini, ma le difficoltà nel preparare una simile operazione scoraggiarono l’esule genovese. Ma proprio grazie a contatti con ex mazziniani come Ausonio Franchi e Simone Bernard, capo dei Clubisti francesi, Orsini maturò l’ideazione di una operazione di questo tipo.
Orsini sul patibolo
Orsini in sede di processo e poi dinnanzi alla ghigliottina, mai diede segno di debolezza o tentennamenti, riscuotendo l’ammirazione di gran parte del pubblico stipato in aula. Il 13 marzo 1858 salì sul patibolo. I ben informati dissero che con il suo comportamento, pur criminale, aveva saputo guadagnarsi anche la stima di Napoleone III. Ciò che emerse ma mai venne provato, fu la possibilità che nella via oggetto dell’attentato fosse presente un altro personaggio, il quale avrebbe dovuto far esplodere il terzo ordigno.
Felice Orsini era un uomo dai forti istinti, incapace di moderazione, sia politica che personale. Entrato in conflitto con Giuseppe Mazzini, che era stato il suo ispiratore, aveva avuto anche problemi familiari. Già dal 1854, quando la moglie Assunta, stanca di continui spostamenti e del suo carattere tumultuoso, si rifiutò di seguirlo a Londra e tenne con sé le due figlie amate teneramente. Da quel momento si distaccò da tutte le sue conoscenze e dai parenti, in qualche caso raccontò anche di essere partito per la guerra in Crimea. “Il suo amor proprio aveva subito così duri colpi, sia nella vita privata che pubblica, da sconvolgergli l’anima, da renderlo indeciso se ritirarsi in un convento, se commettere un suicidio o se cercar fortuna sul teatro di guerra. L’indomabile anelito di servire all’indipendenza italiana, l’ansia di riscattarsi agli occhi altrui lo spinsero verso quest’ultimo progetto, o meglio verso un’azione straordinaria, che sbalordisse i suoi detrattori per arditezza e ingegnosità di concezione” (Leopoldo Marchetti, 1962).
Il fatto accaduto a Parigi, nella sua gravità, anzichè dividere le trattative fra la Francia e il Piemonte, avrebbe velocizzato la consapevolezza di creare una salda alleanza, come poi avvenne a Plombières, dove in una casupola durante una riunione segreta si gettarono le basi dell’Italia Unita.
Le condanne
Due dei condannati passarono dal patibolo, ma altri due vennero condannati all’ergastolo. Uno di loro, Carlo De Rudio, un nobile bellunese il quale aveva anche partecipato alle cinque giornate di Milano, finì a scontare la pena nella durissima prigione della Cajenna, dalla quale riuscì anche a fuggire in Inghilterra. Qui conobbe una giovane ragazza figlia di un industriale che sposò e venne spesso convocato per tenere conferenze sui fatti di cui fu testimone. Scoppiata la guerra civile americana, attratto dalla vita d’azione, partì con la moglie per il continente americano dove si arruolò come soldato semplice. Guadagnatosi i gradi, ebbe il privilegio di combattere accanto al generale Custer nella battaglia di Little Big Horn. Quando uno ha l’azione nel sangue.
Mauro Salucci
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzatocultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici . Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di“Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.
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