Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: ecco il focus del Censis sulle categorie più colpite dal Covid-19
Inizia così il rapporto Censis “La società italiana al 2020”, che ha come protagonista il Covid-19 ma che mette anche l’accento sulla mancanza di “un Churchiln” al comando, anche se risulterebbe avventuroso capire come si sarebbe comportato lo statista inglese nei confronti di un nemico invisibile e per molti irreale.
Ma il dato certo è che “in questi mesi, il 77% ha visto modificarsi in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria vita: lo stato di salute o il lavoro, le relazioni o il tempo libero”.
La rinuncia alla sovranità personale
Il primo effetto di questo 2020 è la propensione a rinunciare volontariamente alla sovranità personale, infatti il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale.
Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni. E con l’arrivo del 2021 verrà tolto anche il blocco dei licenziamenti. Insomma, meglio sudditi che morti.
O salute o forca
Per il Censis si è sviluppato negli italiani “il livore della logica, o salute o forca”. Nel rapporto si legge che il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è fermamente convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri soggetti, deve pagare per gli errori commessi, che hanno provocato la diffusione del contagio negli ospedali e nelle case di riposo per gli anziani
Il 56,6% vuole addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena e dell’isolamento, e così minacciano la salute degli altri.
Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili o irregolari, hanno provocato la propria malattia. Non va meglio per gli anziani visto che il 49,3% dei giovani vuole che gli anziani siano curati dopo di loro.
Garantiti e non garantiti
Il Covid-19 ha fatto emergere chiaramente, ma era un aspetto già noto, la gerarchia dei redditi e del lavoro certo. Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale esistente tra i lavoratori è quella tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e quindi del reddito e chi invece non ha garanzie. In sostanza esistono due Italie molto diverse: i garantiti e i non garantiti.
Su tutti, i cittadini che hanno per datore di lavoro lo Stato, circa 3,2 milioni di italiani. Una sorta di rivincita del posto pubblico, spesso denigrato, ma che ora però al riparo dal possibile fallimento economico. A cui si aggiungono i pensionati che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’aiutare figli e nipoti.
Il lavoratori nell’ambito privato
Poi c’è la giungla. In apprensione per il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, contro un più contenuto 28,6% dei lavoratori presso le grandi aziende.
Il declassamento sociale e la proletarizzazione
Scendendo nell’abisso troviamo i dipendenti del settore privato a tempo determinato, tra i quali quasi 400.000 non hanno avuto il rinnovo del contratto nel secondo trimestre dell’anno. A ruota seguono tanti italiani scomparsi nel silenzio. Sono i nostri concittadini “dei lavoretti”, del lavoro casuale, del lavoro in nero, un universo indefinito stimabile in circa 5 milioni di persone.
Poi ci sono gli imprenditori dei settori schiantati, come i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Quelli capitati nel mondo del lavoro nel momento sbagliato. Lavoratori che neanche avrebbero aperto la P.Iva ma che no hanno avuto scelta. Si tratta del magmatico mondo del lavoro autonomo, nel quale solo il 23% dei soggetti ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari pre Covid-19.
Con l’emergenza sanitaria è definitivamente terminato un periodo storico in cui fare impresa rappresentava un’opportunità. “Quasi il 40% degli italiani (il 41,7% dei più giovani) oggi afferma cheavviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo, perché i rischi sono troppo alti, e solo il 13% lo considera ancora una opportunità”.
La scuola degli esclusi
L’emergenza sanitaria ha evidenziato come la scuola, da sempre trascurata, sia al centro della vita delle famiglie e quali vuoti sociali abbia Crato la sua chiusura. È indiscutibile che la scuola non sia solo “luogo di istruzione e apprendimento, ma anche presidio culturale ed educativo nei territori”.
Una categoria particolarmente colpita dalla chiusura delle scuole è stata quella degli studenti che necessitano di una particolare attenzione, e per i quali la socialità che si instaura nelle aule scolastiche è insostituibile. Sono gli studenti con disabilità (268.671 persone nelle sole scuole statali) o con disturbi specifici dell’apprendimento (circa 276.000 studenti con Dsa).
La didattica a distanza non è riuscita a coinvolgere tutti gli studenti, nonostante che le scuole, con le risorse e le capacità a disposizione, si siano adoperate almeno per colmare il più possibile le carenze di tecnologie e connettività. Ad aprile 2020, l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis segnalava di essere riuscito a coinvolgere tutti gli studenti. Il 53,6% dei dirigenti, inoltre, sottolineava come con la Dad non si riesca a coinvolgere pienamente gli studenti con disabilità o bisogni educativi speciali. Un ulteriore 37,4% di presidi “teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e la prevenzione della dispersione scolastica”.
Banchi nuovi ma la carta igienica continuerà a mancare?
In estate abbiamo vissuto la quasi comica questione dei banchi con le rotelle per garantire il necessario distanziamento tra i ragazzi. E di soldi ne sono stati messi molti per l’acquisto degli arredi necessari per iniziare il nuovo anno. Soldi che mancavano quando si chiedeva ai genitori di contribuire all’acquisto della carta igienica con “contributi volontari” che poi tanto volontari non erano. Al termine di questo disastro sanitario dovuto al Covid-19 ci sia augura che certe richieste di denaro alle famiglie cessino.
Lavoro a picco: a pagare giovani e donne
Il lavoro a picco e la produttività senza slancio. A pagare il conto sono i giovani e le donne.
Nel confronto tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020, i giovani occupati 15-34enni sono particolarmente colpiti dalla perdita del lavoro in settori come quello alberghiero, con una perdita di 246 mila occupati. Nell’industria in senso stretto, dove la riduzione ha riguardato essenzialmente la classe più giovane con un calo di 80 mila posto di lavoro.
Nelle attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese, a fronte di una riduzione complessiva di 104.000 occupati, 80.000 hanno riguardato gli occupati più giovani. Nel commercio si osserva invece una maggiore esposizione alla perdita di lavoro da parte dei 35-49enni: su 191.000 occupati in meno, 118.000 riguardano la classe d’età centrale e 56.000 i 15-34enni.
Alla lettura della contrazione occupazionale per età si affianca la variabile di genere: le donne sono svantaggiate e quindi più vulnerabili alla perdita del posto di lavoro. Al secondo trimestre di quest’anno, il tasso di occupazione totale, che per gli uomini raggiunge il 66,6%, presenta un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne.
Meno ore lavorate meno stipendio
Marcata è anche la distanza tra il numero delle ore settimanali effettivamente lavorate da una donna rispetto a un uomo. Di fatto una donna lavora 8 ore in meno (32 contro le 40 degli uomini) e ciò spiega anche l’effetto sulle retribuzioni e il gap di genere che penalizza la componente femminile del lavoro.
Se su 2.007.000 donne, 1.932.000, cioè la stragrande maggioranza (il 96%), hanno dichiarato di essere disponibili a lavorare, ma di non cercare lavoro. Per molte incide la scarsa aspettativa di poter avere un lavoro, ma per 3 donne su 10 l’assenza dal mondo del lavoro è dovuta a motivi familiari.
Nel complesso, tra le donne con una età compresa tra i 25 e i 49 anni, si osserva una differenza di oltre 18 punti percentuali: il tasso di occupazione è del 71,9% tra le donne senza figli, contro il 53,4% tra quelle con figli in età pre- scolare.
L’Europa: una casa comune o lo spettro del vincolo esterno?
Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell’immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%).
La scoperta della vita “da remoto”
Si può stimare che quasi 43 milioni di persone maggiorenni (tra queste, almeno 3 milioni di novizi) siano rimaste in contatto con i loro amici e parenti grazie ai sistemi di videochiamata che utilizzano internet. Il lockdown ha generato nuovi utenti e ha rafforzato l’uso della rete da parte dei soggetti già esperti. Ma almeno un quarto della popolazione a un certo punto è andata in sofferenza. Anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell’uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate.
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