Genova – È arrivata anche a Genova l’ultima campagna shock di Pro Vita e Famiglia, la ONLUS che non è nuova alle battaglie di bandiera contro l’aborto.
Questa volta però, i militanti della famiglia hanno davvero esagerato arrivando a propinare false informazioni scientifiche sulla pillola abortiva, definita un “veleno” dai maxi manifesti incollati sui muri della città.
E ce lo conferma anche Mercedes Bo, Presidente di AIED Genova, che ci tiene a sottolineare l’infondatezza dei dati riportati dai Pro Vita e precisa che “mentre le altre campagne si limitavano a considerazioni etiche, oggi invece si fa pubblicità ingannevole perché non è affatto vero che l’RU486 sia un metodo pericoloso”.
E la pillola abortiva, in effetti, è in uso in Europa già dagli anni ’80 e oggi la utilizzano tutti i Paesi dove l’aborto è legale, ad eccezione della Polonia e della Lituania.
“In Italia è un metodo usato dal 2009” con la Liguria che si piazza sempre “ai primi posti per l’opzione non chirurgica di interruzione volontaria della gravidanza”, spiega Bo che ribadisce come “non ci siano mai stati grossi problemi. Al massimo può succedere che non abbia effetto, ma sono casi molto rari”.
La novità che ha scatenato i Pro Vita è arrivata ad agosto di quest’anno quando il Ministero della Salute ha pubblicato le nuove linee guida sull’aborto farmacologico che annullano l’obbligo di ricovero e allungano fino alla nona settimana di gestazione il periodo in cui si può ricorrere al farmaco.
Di fatto però cambia poco e ce lo conferma anche Franca Paccagnella, ginecologa dell’AIED, che ricorda come “la procedura prevedesse già la dimissione subito dopo la compilazione della cartella clinica e la somministrazione del farmaco”. Questo perché, una volta arrivata l’approvazione da parte di AIFA, molte Regioni con ordinanze proprie ne permettevano l’impiego in day hospital. L’RU486, infatti, è considerato un trattamento sicuro.
Ma come agisce?
“In realtà parliamo di due somministrazioni” spiega ancora Paccagnella aggiungendo che per primo si prende “un composto chimico che si chiama mifepristone, un antiprogestinico che blocca le azioni tipiche che il progesterone svolge all’inizio della gestazione e dunque la interrompe” con una mestruazione indotta entro 24ore. Il giorno successivo, “la procedura prevede la somministrazione di una seconda pillola, questa volta di misoprostolo, una prostaglandina che aiuta lo svuotamento dell’utero”.
“Quello su cui si è verificata l’alzata di scudi principale, però, è il prolungamento dei termini di somministrazione”, continua Paccagnella specificando che prima si poteva prendere la pillola abortiva “entro 6 settimane, mentre adesso l’intervallo è prolungato fino al 63° giorno, come nel resto d’Europa”.
Poi sul fatto che l’RU486 metta “a rischio la salute della donna”, Paccagnella ricorda che esiste la 194, “una legge dello Stato sull’interruzione volontaria della gravidanza che è nata proprio per evitare che le donne morissero d’aborto. Io mi ricordo bene quando nei reparti di ostetricia c’erano pile di registri alti quattro dita di endometriti subinvolutive, ed erano tutte donne che avevano fatto degli aborti clandestini dalla mammana con il ferro da calza”.
Eppure pare proprio che le vittorie delle donne non siano mai definitive.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.