È scritto nella perizia richiesta dal Gip, Angela Nutini, e presentata nell’ambito del secondo incidente probatorio
Genova – Le cause del crollo di ponte Morandi sarebbero “identificabili nei momenti dei controlli e degli interventi manutentivi che, se fossero stati eseguiti correttamente, con elevata probabilità avrebbero interrotto la catena causale e impedito il verificarsi dell’evento”.
È scritto nero su bianco nelle carte della perizia richiesta dal Gip, Angela Nutini, che riportano come, a scatenare il cedimento che ha travolto la vita di 43 persone, sia stato proprio “il fenomeno di corrosione della parte sommitale del tirante Sud-lato Genova della pila 9” del viadotto.
Tra le domande del Gip anche l’ipotesi della bobina
Tra le 40 richieste che il Gip ha formulato per i periti, c’è anche la verifica della possibilità che a causare il disastro fosse stata una bobina da tre tonnellate e mezza caduta da un tir in transito.
Si legge nelle 467 pagine della relazione che “le analisi svolte portano ad escludere con elevata probabilità l’ipotesi che il coil possa essere caduto dal tir mentre quest’ultimo transitava a cavallo del giunto tra la pila 9 e il tampone 10”.
A tirar fuori l’ipotesi della bobina d’acciaio era stato, pochi mesi dopo il crollo, l’ex presidente della società Alga che nel 1993 si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11, Agostino Marioni, che aveva parlato di “una cannonata” sul viadotto.
In realtà, i quattro esperti del Gip si spingono ancora oltre e danno un colpo di spugna a tutte le congetture della prima ora scrivendo che “non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possano avere concorso a determinare il crollo, come confermato anche dalle evidenze visive emerse dall’analisi del filmato Ferrometal“.
Carenze progettuali e difetti di costruzione
Sul banco degli imputati non solo la scarsa manutenzione ma anche diversi difetti di costruzione, evidenti già nella fase di realizzazione del viadotto.
Si tratta, scrivono i periti di vere e proprie “carenze progettuali, che non avevano tenuto conto in modo adeguato dei particolari costruttivi, con riferimento alla difficoltà di eseguire i getti di malta in presenza di interferri molto ridotti”.
E poi su tutto la “mancanza di controlli anche in fase di costruzione, sia da parte della direzione dei lavori che della commissione di collaudo”.
Ignorate anche le raccomandazioni di Morandi
“Il progettista aveva posto attenzione al rischio di corrosione dei cavi. Tali raccomandazioni erano particolarmente importanti e rilevanti tenuto conto della straordinarietà dell’opera”, continuano i periti sottolineando che già dalle prime verifiche seguite all’inaugurazione, “sia i tecnici del gestore sia lo stesso Morandi avevano evidenziato un diffuso stato di ammaloramento e proposto modifiche di intervento”. Poi sulle parti di viadotto interessate dal crollo gli esperti del Gip precisano che “le principali criticità riscontrate sono individuabili nella combinazione di carenze progettuali nei dettagli costruttivi e di difetti di esecuzione che hanno determinato la formazione della cavità nella sommità dell’antenna”. Allo stesso modo “va evidenziata la difformità nella realizzazione delle guaine metalliche rispetto a quanto previsto nel progetto, difformità che ha determinato la scarsa impermeabilità della guaina agli agenti esterni e alla stessa malta di iniezione”.
Insomma, una serie di difetti che sommati all’inadeguatezza dei controlli e alla scarsa manutenzione dell’opera sono stati gli anelli deboli che hanno portato alla tragedia del 14 agosto 2018.
L’ultima manutenzione alla pila 9 risaliva al 1993
E sulla manutenzione della pila 9 il verdetto è agghiacciante: “L’ultimo intervento di manutenzione strutturale risale al 1993”, dice la relazione sottolinenando che “comunque, in tutta la vita dell’opera, non sono stati eseguiti interventi di manutenzione che potessero arrestare il processo di degrado in atto e/o di riparazione/restauro dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante Sud-lato Genova della pila 9, erano particolarmente gravi”.
In particolare il dito degli esperti è puntato sulla corrosione dei trefoli della pila 9: “In merito all’influenza che lo stato di conservazione del tirante possa aver avuto in modo diretto o indiretto sul crollo, si precisa che il tirante Sud-lato Genova della Pila 9 ha mostrato un’evidente e gravissima forma di corrosione dei trefoli nella zona di attacco con l’antenna. La corrosione dei cavi primari ha avuto luogo in zone di cavità e mancata iniezione certamente formatesi all’atto della costruzione del viadotto. I cavi secondari presentavano un grado di corrosione più generalizzato e ancora più elevato, risultando interessati da gravi difetti di iniezione determinati anche dall’inadeguatezza delle guaine metalliche”.
L’esito della perizia, dunque, sembra mettere una pietra tombale sulle cause del disastro e lo fa precisando che “lo stato di manutenzione e di conservazione della parte del viadotto crollato ha avuto diretta e conclamata influenza sul crollo”.
st
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.