Processo Alchemia: sequestrati beni per 20 milioni di euro al boss Giovinazzo, vicino alla cosca Raso-Gullace-Albanese

Tra i beni confiscati anche l’Uliveto Principessa Park Hotel di Cittanova

Reggio Calabria – La Direzione Investigativa Antimafia, coordinata dalla locale Procura della Repubblica,  ha eseguito un decreto di confisca beni aziendali e personali nei confronti di  Girolamo Giovinazzo, 48 anni, di Cittanova (RC), detto Jimmy.
Il boss è  ritenuto contiguo alla cosca Raso-Gullace-Albanese di Cittanova, a cui risulta legato anche da vincoli di parentela, avendo sposato Francesca Politi, nipote del defunto capo cosca Girolamo Raso.

Giovinazzo coinvolto nell’operazione “Alchemia”

Giovinazzo finì in manette , con la moglie e ad altri 40 complici, nel luglio 2016,  visto il suo coinvolgimento nell’operazione “Alchemia” della Procura Distrettuale Antimafia reggina, che aveva interessato gli elementi ritenuti affiliati alle cosche “Raso-Gullace-Albanese” di Cittanova (RC) e “Parrello-Cagliostro” di Palmi (RC), per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni e reati contro la Pubblica Amministrazione.

Rifuti, scommesse  e movimento terra

Le indagini avevano consentito di evidenziare l’interesse delle consorterie verso diversi settori, quali il movimento terra, l’edilizia, il settore turistico-alberghiero, l’import-export di prodotti alimentari, la gestione di sale giochi e di piattaforme di scommesse on‑line, la lavorazione dei marmi, autotrasporti, smaltimento e trasporto di rifiuti speciali.

Giovinazzo portavoce del boss Raso

Nel suddetto procedimento “Alchemia”, la figura di Giovinazzo era emersa quale personaggio indiziato di ricoprire il ruolo precipuo di “portavoce” ed uomo di fiducia del defunto boss Girolamo Raso, con il compito di mantenere i rapporti con i sodali (tra cui Carmelo Gullace, posto in posizione apicale), con esponenti di cosche contigue e, contemporaneamente, con il mondo politico ed imprenditoriale, nonché con funzionari pubblici, allo scopo di agevolare l’ottenimento di commesse di lavori o appalti, contributi comunitari e altre provvidenze.
Lo stesso più volte in passato era stato oggetto di vicende penali per emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, occultamento/distruzione di scritture contabili, falso, truffa aggravata, bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere. Sulla scorta di tali elementi, nel mese di aprile 2018 la DIA, sotto il coordinamento della locale Procura Distrettuale, aveva già sottoposto a sequestro per misura di prevenzione beni aziendali e personali nella disponibilità dell’imprenditore della piana.

Sentenza Alchemia ©fivedabliu

Era stato assolto

Eppure, nonostante il suo profilo criminale così ben definito, il boss Giovinazzo è uscito indenne dall’accusa di associazione mafiosa e intestazione fittizia nella recente sentenza del tribunale di Palmi nel luglio del 2020.

Assolto a Palmi colpevole per Reggio Calabria

Tuttavia sulla base del principio di autonomia tra procedimento di prevenzione e procedimento penale, la Sezione Misure di Prevenzione ha rinvenuto in detta sentenza elementi di prova valorizzabili in sede di misure di prevenzione “laddove è sufficiente provare l’appartenenza in senso lato ad un’organizzazione criminale e non l’effettiva partecipazione, potendosi collocare Giovinazzo in quell’aerea di contiguità funzionale rispetto al sodalizio mafioso.

Pericolosità sociale qualificata

Il Tribunale di Reggio Calabria con il provvedimento di confisca lo ha ritenuto portatore sia di pericolosità sociale qualificata, per la contiguità con un’organizzazione criminale di stampo mafioso, che di pericolosità generica, in ragione della sua inclinazione e abitualità nel tempo a delinquere. Una pericolosità giudicata “attuale” vista la “notevole gravità delle condotte descritte, dei rapporti con esponenti apicali di cosche mafiose e del complessivo curriculum criminale”. Di conseguenza lo ha sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni.

Un patrimonio frutto di attività illecite

Dal punto di vista patrimoniale, è emerso come la crescita dell’attività imprenditoriale sia stata concretamente agevolata nell’avvio e, soprattutto, nell’espansione, dal ricorso sistematico a pratiche imprenditoriali illecite, per cui il patrimonio a lui riconducibile è stato ritenuto il frutto o il reimpiego di proventi di attività illecita, stante anche la significativa sproporzione tra i redditi dichiarati e le effettive disponibilità a lui riconducibili, emerse dagli accertamenti della DIA.

Il sequestro dei beni

Con il provvedimento è stato sottoposto a confisca un consistente asset immobiliare e mobiliare, che ricomprende beni aziendali e personali, ed è costituito da 5 società con sede tra Cittanova  e Roma, operanti nei settori turistico-alberghiero, agricolo, della lavorazione del legname e del trasporto rifiuti.
Tra queste, anche l’elegante e notissima struttura alberghiera di lusso “Uliveto Principessa Park Hotel” di Cittanova.
E poi, sempre a Cittanova, 15 terreni ad uso agricolo per un’estensione complessiva di circa 13 ettari e 2 capannoni ad uso industriale, per una superficie di circa 3.000 mq.
Il valore complessivo dei beni sottoposti a confisca è stimato in circa 22 milioni di euro.

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