Fra tutte le realtà concentrazionarie mondiali, la Corea del Nord, con i suoi campi di prigionia ha un posto di primo piano. Diversi campi di lavoro e detenzione, tutti recintati da filo spinato, sorvegliati dalla milizia in cui molto spesso individui nascono, crescono, diventano adulti senza avere mai avuto alcun contatto con la realtà esterna. Questi campi sono di enormi dimensioni. Quello più noto è il Campo 14, grande quanto la città di Mosca e visibile su Google Earth. Lungo cinquantuno chilometri e largo quaranta, venne aperto nel 1959 nella zona centrale della Corea del Nord, a Kaechon, nella provincia del Sud Pyongan.
A differenza di altri campi di rieducazione, come il 15 e il 18, il 14 è un campo a regime duro, con un controllo inflessibile da parte delle guardie. Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, oggi il numero dei prigionieri rinchiusi nei campi sarebbe di circa duecentomila.
Una realtà recentemente venuta a conoscenza dell’Occidente grazie a un libro e a un documentario del 1982 premiato al Toronto Film Festival. Un microcosmo che si autofinanzia con del materiale umano di migliaia di detenuti che forniscono gratuitamente la loro forza lavoro. Tutto, all’interno dei campi, è sottoposto a stretto rendiconto e tutto viene sfruttato ai fini della produzione e dell’espiazione della pena, compresa la raccolta delle feci personali che vengono utilizzate come concime.
Grazie alle testimonianze di ex detenuti è stato possibile ricostruire la vita quotidiana all’interno dei campi. I detenuti vengono impiegati nella coltivazione dei campi, nell’estrazione di carbone dalle miniere, cuciono divise militari. Non viene messa a disposizione biancheria intima, sapone, né guanti o carta igienica. Una o due volte l’anno vengono consegnati dei vestiti.
Le giornate lavorative variano dalle dodici alle quindici ore quotidiane. La dieta del prigioniero è a base di mais, cavolo e sale. La denutrizione, oltre a scoraggiare la fuga e a rendere i prigionieri più controllabili, li porta ad avere presto le ossa indebolite e le gengive nere, facendogli perdere la dentizione.
Fra privazioni del sonno, pestaggi, lavori forzati, fame spesso si fa vivo nei nordcoreani che vivono la realtà dei campi il desiderio del suicidio, proibito anch’esso. Scrive l’attivista e dissidente nordcoreano, Kang Chol-hwan, nella sua autobiografia – L’ultimo gulag – che racconta il decennio di prigionia trascorso nel campo 15: “Succedeva che alcuni prigionieri si suicidassero. Certi nostri vicini avevano scelto quella strada […]. Il più delle volte lasciavano una lettera che criticava duramente il regime o perlomeno i suoi organi di sicurezza […] Anche in assenza di un testamento rivendicativo, la famiglia di un suicida veniva punita. Era una regola che non ammetteva eccezioni. Suicidarsi significava trasgredire agli ordini del partito: era una scelta individuale, e come tale condannabile”.
Una risorsa in questi campi di prigionia è la cattura dei ratti: cuocerli è consentito all’interno dei campi e la loro posa arrosto su una griglia a carbone aiuta i detenuti a combattere la pellagra, una malattia dilagante soprattutto nei periodi invernali. L’assenza di proteine e niacina nelle diete provoca debolezza, lesioni cutanee, diarrea e demenza. Un’altra fonte di sussistenza nei campi è rappresentata da locuste, libellule, cavallette che vengono infilzate in steli di setaria e poi arrostite sul fuoco. In inverno tutto si complica e gli ospiti dei campi più anziani hanno imparato una tecnica, quella delle mucche, che rigurgitano il pasto per poi mangiarlo nuovamente, oppure quella di non defecare per vincere l’ossessione del cibo, sempre latente.
La morte dei detenuti avviene in linea di massima sempre prima dei cinquanta anni di età. Le testimonianze sono state raccolte dal Committee on Human Rights di Washington DC nell’articolato rapporto The Hidden Gulag: The Lives and Voices of “Those Who are Sent to the Mountains”.
Il problema alimentare è presente anche fuori dei campi, in tutto il territorio nazionale della Corea del Nord. Il ritardo mentale causato dalla malnutrizione durante la prima infanzia è una costante che sta portando il Paese a dati antropometrici sorprendenti: da rilevamenti resi possibili solo su maschi adolescenti fuggiti nell’ultimo decennio, questi sono tredici centimetri più bassi e pesano undici chili in meno dei loro coetanei della Corea del Sud.
I prelevamenti e gli arresti avvengono senza processo. Di queste operazioni è incaricato il Corpo della polizia segreta del Bowibu, la quale conta nel Paese circa duecentosettantamila uomini.
A capo del Paese è il principe comunista Kim Jong Un, terzogenito di Kim Jong II che nel dicembre 2011 ha preso il potere il giorno della morte del padre. Di questo dittatore non si conosce ufficialmente la data di nascita che dovrebbe risalire all’anno 1984. Durante l’adolescenza avrebbe studiato in un collegio di Berna sotto nome di copertura. Accentratore e spietato, non si è fatto in passato remore facendo giustiziare anche lo zio Jang Song-taek, per un certo tempo suo tutore per alto tradimento. Una vita di eccessi, pare anche nel consumo di alcolici e una vita immerso nel lusso. Si dice che i frutteti delle sue terre siano concimati con zucchero per rendere i frutti più succulenti. Aperture recenti alla Corea del Sud ma anche all’America di Trump.
Il nemico giurato del Paese, gli Stati Uniti, rappresenta ancora oggi il principale donatore di aiuti alimentari che comunque annualmente mai riesce a colmare il fabbisogno alimentare della popolazione, anche a causa di poco terreno arabile, catene montuose, lunghi inverni. A provocare il tracollo è stata la caduta dell’Unione Sovietica con i suoi cospicui sussidi che hanno cessato di essere erogati.
Mauro Salucci
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Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di “Taccuino su Genova” (2016) e “Madre di Dio” (2017). “Forti pulsioni” dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.
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