La mafia cambia pelle? Forse nell’estetica, non certo nella sostanza. In Liguria esiste, è profondamente radicata nel tessuto sociale e ha rapporti stretti con la politica e con le strutture burocratiche.
Sembra ripetitivo sottolineare che, se in un primo momento le cosche, le ‘ndrine, e i clan portavano voti ai candidati che poi avrebbero firmato gli appalti, nell’evoluzione della specie mafiosa oggi i candidati appartengono direttamente alle famiglie. Ripuliti, certo, ma pur sempre in odore di mafia. Perché in assenza di un netto distacco dalle dinamiche familiari mafiose, dobbiamo pensare che non ci sia una volontà vera di voltare pagina e cambiare mentalità e modo di agire.
L’effetto sociale devastante delle mafie
L’effetto sociale devastante delle mafie ha sdoganato la loro presenza nelle comunità.
La mafia è ovunque. È nascosta negli appalti, controlla il territorio, le sale slot, il traffico di droga.
Gli eroi
Abbiamo degli eroi di riferimento nelle vicende, spesso di sangue, relative alle organizzazioni mafiose. Sono uomini e donne assassinati spesso sotto i nostri occhi. Sono Persone che avrebbero voluto vivere e invecchiare e che spesso sono state lasciate sole, nell’indifferenza generale. A volte pure osteggiate o criticate con ferocia.
L’olezzo del malaffare
La vita da eroe è difficile. Perché a fronte del sacrificio personale, spesso a costo della vita, la realtà non è come nei film. Diciamolo, gli eroi stanno un po’ sulle scatole, sempre a guardare la virgola, a fare distinguo. Spesso vengono lasciati soli, a volte sono tacciati di essere visionari, raramente si prendono rivincite che possano bilanciare le sconfitte. Però, gli eroi, hanno fiuto, sentono puzza di malaffare da lontano. Intuiscono gli inciuci, le collusioni, i magheggi. Ma la cosa più difficile è contrapporsi a chi ha tanti soldi, troppi soldi, e può pagare professionisti, corrompere, addomesticare, nascondere, insabbiare.
Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Nel 1984, in una Commissione parlamentare sul fenomeno mafioso, Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si sono ritrovati con il capello in mano a chiedere risorse e personale per combattere “Cosa Nostra”. Come sono andate le cose lo sappiamo tutti.
Quello che fa più impressione è leggerlo sui documenti ufficiali.
Le parole di Caponnetto in apertura di audizione sono state: “I problemi di fronte ai quali ci siamo trovati sono molti: non posso dire che siano tutti risolti, comunque, buona parte è in via di risoluzione. Come sapete, questi problemi sono di personale, di mezzi, di strutture”.
E ancora: “I problemi si presentano non solo a livello di magistrati – e come dicevo questo punto è stato risolto – ma anche a livello di segretari: ce ne mancano ameno quattro e ci sono magistrati che lavorano (e ciò in un ufficio istruzione non è concepibile per la struttura stessa del nostro lavoro) senza segretario e altri che, lo ripeto, non hanno neanche l’arredamento della stanza come i due magistrati e le due sezioni che sono state aggiunte ultimamente”.
I beni confiscati ai mafiosi
Nella relazione di Caponnetto, piuttosto stringata come era il suo stile, c’è anche una parte realtiva al sequestro dei beni mafiosi che ad oggi, a distanza di 37 anni, non ha ancora trovato soluzione.
Diceva il magistrato: “La necessità di accordare al pubblico Ministero il potere di disporre in via di urgenza il sequestro dei beni delle persone indiziate di mafiosità per evitare che nelle more del procedimento venga attuata la sottrazione dei beni o con vendite simulate o con il ritiro dei depositi, cosa che purtroppo si è spesso verificata. Sarebbe pure necessario regolamentare meglio la figura, i compiti e gli interventi del custode dei beni sequestrati, cosa che il legislatore ha davvero trascurato perché forse non pensava neppure di trovarsi di fronte ad aziende agricole e complessi industriali di rilevanza tale quale poi si è manifestata in pratica”.
Borsellino e la necessità di un computer
L’intervento di Borsellino è quasi disarmante.
Uno dei nostri eroi, il volto che trova spazio su tutti i muri degli uffici nei Palazzi di Giustizia, in uno dei momenti più difficili e gravi della lotta contro la mafia è costretto a chiedere: “Desidero sottolineare la gravità dei problemi, soprattutto di natura pratica, che noi dobbiamo continuare ad affrontare ogni giorno, facendo presente in particolare che con il fenomeno che stiamo vivendo in questo momento della gestione di processi di mole incredibile (ognuno dei quali è composto da centinaia di volumi che riempiono intere stanze) è diventato indispensabile, oltre che l’uso di attrezzature più moderne delle nostre semplici rubriche, l’uso di un computer che è finalmente arrivato a Palermo ma che, purtroppo, non sarà operativo se non fra qualche tempo perché sembra che i problemi della sua installazione siano estremamente gravi, anche se non si riesce a capire perché. So soltanto che è arrivato al tribunale di Palermo ed è stato collocato in un camerino. Ora stiamo aspettando”.
A Palermo Falcone e Borsellino non avevano un computer
A questo punto un componente della Commissione, il senatore Aldo Rizzo, prende la parola molto stupito: “Siccome il computer è già una realizzazione in altri uffici giudiziari, per esempio è stato già realizzato a Savona ed è in corso di realizzazione a Napoli, desidero sapere da chi vengono sollevate queste difficoltà”.
E allora Borsellino risponde: “Non vengono sollevate delle difficoltà. È qualcosa che procede in modo estremamente lento (l’ha seguita più di me il collega Falcone). Sta di fatto che il computer è arrivato da un mese e non sono ancora venuti a collaudarlo. Non so se ciò dipenda dalla casa che lo ha costruito o da altre ragioni. Quel che è certo è che ci era stato detto che avremmo potuto cominciare a caricarlo a marzo; ora però siamo a maggio e non si è ancora cominciato”.
Il maxi processo
Di lì a poco sarebbe iniziato il maxi processo di Palermo. Falcone e Borsellino stavano lavorando per raccogliere le prove realtive a omicidi, traffico di droga, estorsioni e associazione mafiosa. Forse un computer attivato per tempo avrebbe accelerato i tempi, forse poteva risparmiare vite. Forse non c’era interesse che i dati venissero inseriti e confrontati. Ecco come abbiamo trattato quelli che oggi sono considerati eroi. Forse c’era l’urgenza di appendere al muro i quadri con le loro fotografie .
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.