‘Ndrangheta e usura: in carcere cellula romana del clan Piromalli

I tre fratelli calabresi tenevano sotto scacco i gestori delle attività commerciali del quartiere Aberone, minacciandoli col metodo mafioso

Roma – È partita questa mattina all’alba un’operazione antiusura della Squadra Mobile che, nell’ambito di una complessa attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dal Pool antiusura della Procura della Repubblica di Roma, sta eseguendo cinque misure cautelari.
Agli indagati, di età compresa tra i 44 e i 55 anni, che operano prevalentemente nel quartiere capitolino “San Giovanni” e sono stabilmente inseriti nel tessuto criminale romano, sono contestati i delitti di usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso, nonché esercizio abusivo di attività finanziaria.
Tutti gli arrestati sono stati associati a diverse Case Circondariali, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

Le indagini

Ad aprire le indagini che hanno portato all’operazione Alberone, è stata una denuncia raccolta in zona Appio nel novembre del 2018, che ha permesso di fare luce su un gruppo di persone legate alla famiglia calabrese dei Piromalli di Gioia Tauro, che servendosi di modalità tipiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, elargivano prestiti a interessi usurari a diversi piccoli imprenditori e persone in difficoltà economiche, in gran parte gestori di attività commerciali di quartiere.
Nel corso delle attività investigative è emerso come tre fratelli Piromalli, G., F. e C., insieme a due soggetti romani pregiudicati D.P. e P.M. di 55 e 51anni, fossero specializzati nel concedere in prestito somme di denaro a tassi illegali, ricorrendo anche alle estorsioni pur di rientrare in possesso degli interessi imposti.
Dalle intercettazioni, dalle analisi dei video e dagli approfondimenti bancari, eseguiti a cavallo tra il 2018  e il 2019, è stato possibile ricostruire le competenze di ciascun indagato, secondo un preciso progetto illecito che consisteva nella concessione sistematica di prestiti a interessi usurari a persone in difficoltà economiche, con l’aggiunta di eventuali maggiorazioni che venivano comminate in caso di ritardo nei pagamenti.
Teatro delle indagini è la zona dell’Alberone nel quartiere San Giovanni, territorio in cui la famiglia Piromalli era riuscita a ingenerare negli abitanti un clima di terrore e uno stato di soggezione nei loro confronti, humus necessario ad agevolare e far progredire tutte le loro attività illecite.

Il modus operandi

La figura di maggior spicco dell’organizzazione è senz’altro il 55enne G. Piromalli, che agiva in stretta collaborazione con i fratelli  F. e C., tutti gravati da pregiudizi di Polizia, ben radicati nel tessuto malavitoso in cui operano, zona in cui rappresentano il costante riferimento per la malavita locale.
Dalle investigazioni è emerso come G. Piromalli si recasse spesso in Calabria mantenendo stretti rapporti con membri di organizzazioni criminali anche di stampo mafioso, mentre in qualità di procacciatore di soggetti in precarie condizioni economiche e bisognosi di denaro, impartiva le indicazioni ai fratelli, in particolare a F. – operativo negli episodi di usura sia da solo che alle strette dipendenze del fratello maggiore -, per il recupero delle somme di denaro che non venivano restituite alle condizioni inizialmente dettate, e al fratello C. per la gestione e il reinvestimento delle somme ricavate dalle attività illecite.
Il modus operandi prevedeva la concessione a svariate vittime, quasi tutte piccoli imprenditori della zona, di somme di denaro da restituire a interessi che oscillavano tra il 60% e il 240% su base annua. In occasione dei mancati pagamenti o dei ritardi – per i quali venivano prospettati dei “rimproveri” -, il denaro veniva riscosso dietro minacce e violente estorsioni, in molte circostanze ricorrendo al contributo del D.P. che veniva utilizzato dalla famiglia come “braccio armato” al loro servizio.
Le particolari modalità esecutive attraverso la quotidianità delle pressioni esercitate sulle vittime, a cui veniva dimostrato costantemente di essere capaci di istanze punitive, rappresentano pienamente l’aggravante del metodo mafioso previsto dal 416-bis, in quanto si realizzavano sistematiche pressioni ed intimidazioni tipiche della criminalità organizzata anche con condotte funzionali all’affermazione del proprio nome sul territorio e contribuendo così a diffondere la “fama” criminale dei tre fratelli.
Paradigmatico l’episodio di aggressione con l’uso delle armi avvenuto a Natale ai danni di un carabiniere, colpevole di aver chiesto a uno dei tre fratelli Piromalli di spostare l’auto che aveva parcheggiato in un posto riservato ai disabili.

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.