Anche prima dell’arrivo della pandemia, in Italia erano già radicati gravi squilibri e diseguaglianze però attenuate da una serie di “ammortizzatori sociali” che gradatamente si sono disattivati per via delle normative sul distanziamento. Indubbiamente anche chi lavorava “in nero”, magari sfruttato, vessato e obbligato a piegare la testa, aveva però la posssibilità di fare la spesa con quel poco che riusciva a racimolare. Per assurdo, chi aveva accesso alla benevolenza del prossimo, magari prendendo elemosine fuori dai luoghi di culto, ad un certo punto non è più riuscito neppure a raccogliere gli spiccioli.
Le sacche di povertà ben nascoste nelle pieghe dell’orgoglio e nella volontà di apparire “normali” delle persone in difficoltà, magari da anni, sono emerse con tutto il loro bagaglio di sofferenza.
Squilibri nella distribuzione della ricchezza
Il fattore primario di queste diseguaglianze è dovuto, in prima battuta,agli squilibri nella distribuzione della ricchezza, aggravati dall’arrivo e dal perdurare di questa pandemia. Ma anche dall’impreparazione di una classe politica, intesa come casta, che ha spolpato il settore sanitario nel nome di un risparmio economico che a lungo andare si è rivelato costoso e controproducente in termini di qualità.
Alcuni dati
I dati che emergono evidenziano che allo scoppio dell’emergenza sanitaria, il grado di resilienza economica delle famiglie italiane era estremamente diversificato, con poco più del 40% degli italiani in condizioni di povertà finanziaria.
Quindi, circa la metà della popolazione si è trovata senza risparmi accumulati sufficienti per vivere e in assenza di reddito o altre entrate per diversi mesi.
Se il sistema Italia si è retto per decenni sulle capacità di sopravvivenza e sull’inventiva dei suoi cittadini, con il protrarsi della pandemia, che ha reso necessarie misure come il lockdown, circa 10 milioni di persone, con un valore medio del risparmio non superiore a 400 euro, si sono ritrovate senza alcun salvagente finanziario per resistere economicamente e in autonomia allo shock dell’emergenza sanitaria.
I dati, forniti da due indagini della Banca d’Italia, hanno sottolineato come “in seguito al primo lockdown metà delle famiglie italiane dichiarava di aver subito una contrazione del proprio reddito ed il 15% di aver visto dimezzarsi le proprie entrate. A fine estate 2020 il 20% delle famiglie con figli minori di 14 anni hanno dovuto ridurre l’orario di lavoro o in alcuni casi hanno rinunciato al lavoro per poter accudire i figli. Il 30% degli intervistati dichiarava di non essere in grado di far fronte alle spese correnti, in assenza di altre entrate.
Per qualcuno la crisi non esiste
Ma per alcuni la crisi non c’è mai stata, e molti di questi regolano e organizzano le nostre vite.
“Dall’inizio della pandemia la ricchezza di 36 miliardari della Lista Forbes è aumentata di oltre 45,7 miliardi di euro, pari a 7.500 euro per ognuno dei 6 milioni più poveri dei nostri connazionali”.
Le disuguaglianze sociali
La disponibilità di un alloggio adeguato, la salute, l’istruzione di qualità, e la certezza del lavoro, sono aspetti determinanti per il benessere dei cittadini. Il venir meno di queste prerogative porta velocemente al disagio, non solo fisico, ma in poco tempo all’esclusione sociale.
La pandemia ha accelerato un processo di proletarizzazione e impoverimento della società italiana che è andato a sommarsi alle vecchie povertà, considerate il risultato accettabile di questo sistema economico che produce ricchezza da una parte e società dello scarto dall’altra. Il lockdown ha acuito il fenomeno di esclusione di ampie fasce già in difficoltà, aumentando i disagi anche per Il basso grado di scolarizzazione e alfabetizzazione digitale dei cittadini più fragili.
9,4 milioni di italiani hanno paura di perdere il posto
Tre operai su quattro temono di ritrovarsi disoccupati. Il blocco dei licenziamenti economici andrà avanti fino al 30 giugno.
I tecnici del governo Draghi stanno pensando di confermare, sempre per la fine di giugno, le tre deroghe al blocco dei licenziamenti, introdotte con il decreto Agosto, e confermate fino al 31 marzo dalla legge di bilancio 2021. E quindi, fino al 30 giugno, resterebbero fuori dallo stop i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa. Ma anche in caso di accordo collettivo di incentivo all’esodo, che consente di concordare con ogni singolo dipendente (che è libero di aderire all’accordo) una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Poi c’è la grande partita della piccola e media impresa, spesso a conduzione familiare, che nel momento in cui licenzia non lo fa per speculazione. Spesso anche il piccolo imprenditore rimane travolto dalla crisi dell’azienda e risponde in solido con il patrimonio personale.
Il futuro fa paura
Sono 9,4 milioni i lavoratori del settore privato preoccupati sul futuro della propria occupazione. In particolare, 4,6 milioni temono di andare incontro a una riduzione del reddito, 4,5 milioni prevedono di dover lavorare più di prima. 4,4 milioni hanno paura di perdere il posto e di ritrovarsi disoccupati, 3,6 milioni di essere costretti a cambiare lavoro.
Lavoro da casa: apprezzato da alcuni ma temuto da chi non può permetterselo
Il 31,6% dei lavoratori ha sperimentato il lavoro da remoto. Il 51,5% dei dirigenti, il 34,3% degli impiegati e il 12,3% degli operai.
Sul lavoro a distanza vengono espressi giudizi contrastanti. Il 52,4% degli smartworker lo apprezza e vorrebbe che restasse anche in futuro, invece il 64,4% di chi lavora in presenza lo teme.
Per il 37% dei lavoratori da casa il proprio lavoro è rimasto lo stesso di prima, per il 35,5% è peggiorato, per il 27,5% è migliorato. Ma per 4 lavoratori su 10 il lavoro da casa genera nuove disuguaglianze e divisioni in azienda.
Mafie e Covid, due virus da combattere
La crisi economica, che già in atto dall’inizio dell’emergenza sanitaria, viene cavalcata dalle mafie che nelle emergenze hanno sempre tratto vantaggi. Traffico e spaccio di droga, estorsioni, prestiti a strozzo, intestazioni fittizie, acquisizione di aziende in difficoltà, lavori di somma urgenza, terremoti e rotture di tubi. Alluvioni e cantieri per il ripristino della viabilità dopo frane e smottamenti. Sono alcuni dei campi in cui i mafiosi nostrani sono esperti. E dove c’è crisi, confusione e disorganizzazione la mafia banchetta. Ad oggi non rileviamo, da parte della politica e delle istituzioni la sufficiente attenzione al pericolo che molti cittadini possano cadere vittime dei mafiosi. Perché quando si è alla disperazione la mafia c’è ma spesso lo Stato latita.
Le mafie e i pericoli annunciati. Non si può continuare a negare l’evidenza
E nel consueto report che il Ministero dell’Interno pubblica e che si può anche leggere:
“Si segnala il rischio che i sodalizi mafiosi tentino di accreditarsi presso gli imprenditori in crisi di liquidità per imporre il ricorso a forme di welfare mediante misure di sostegno finanziario, nell‟ottica di salvaguardare la continuità aziendale e di subentrare poi negli asset proprietari o di controllo oppure esercitino forme oppressive di usura anche verso le fasce più deboli della popolazione, in ragione della crisi di liquidità e lavorativa”.
Certo, per poter affrontare il virus mafie non basta un vaccino, ci vuole una classe politica con buona volontà e nessuna collusione, contiguità e amicizia con i noti appartenti a “famiglie” e ‘ndrine. Gli appalti e le manutenzioni vanno affidate alle aziende non in odore di malaffare.
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.