Tra finzione e realtà il romanzo di un testimone diretto
È uscito in libreria da pochi giorni ma “Contro tutte le paure”, il romanzo con cui Tonino Bettanini debutta nel mondo della narrativa, ha avuto una gestazione lunga e diverse stesure sino a quella attuale. È lo stesso autore a raccontarlo: “Disarcionato dopo i due anni irripetibili del ‘coraggio di Stato’ contro la mafia (1991-1993), ho trovato un rifugio nella scrittura, ma anche la possibilità di governare in qualche modo la tempesta di sentimenti – dedizione, coraggio e paura – che mi accompagnerà per molti anni ancora”.
Un periodo dedicato alla scrittura quello immediatamente successivo all’incarico istituzionale con Claudio Martelli in quei due anni da vicepresidente del Consiglio di Bettino Craxi, e poi come capo ufficio stampa del Ministero di Grazia e Giustizia. Nel 1995 Tonino Bettanini, 74 anni, laureato in filosofia, poi docente di sociologia del linguaggio, dà alle stampe “Io il portavoce”, un lavoro in cui tra aneddoti e racconti professionali spiega la dura vita del comunicatore e dispensa consigli a chi quella carriera voglia intraprendere. Un libro utile, anche se pressoché introvabile, tanto da venir citato proprio recentemente da Edoardo Caprino in un articolo dedicato al cambio di tipo di comunicazione intercorsa nel passaggio di consegne fra Conte e Draghi. Fra gli altri Caprino ricordava alcuni assunti del libro stesso: “Un consiglio più generale: bisogna scoraggiare la smania di comunicazione, spesso parlare troppo diventa un farsi parlare”. E ancora “Non dovete commettere l’errore – strategico ma anche etico – di pensare che il vostro lavoro consista sempre e soltanto nel promuovere la visibilità del vostro personaggio”. Principi in evidente controtendenza rispetto all’andamento attuale della comunicazione politica.
Una spy story
Tutt’altra cosa “Contro tutte le paure” che può essere letto come una sorta di spy story, anche se la storia della telefonata imprevista ad un numero telefonico che pochi conoscono e che getta lo scompiglio nello staff di Ennepi, sigla che sta per “Nota personalità”, come vengono indicati i personaggi da tutelare nelle comunicazioni tra apparati di sicurezza e che nel romanzo è il ministro di Grazia e giustizia, può godere della suggestione di un ben determinato periodo storico. Quel 1992 in cui lo Stato per mano del guardasigilli è impegnato nella più sanguinosa guerra alla mafia.
Brando Costa il protagonista, collaboratore del ministro, subisce il fascino della giovane voce femminile che lo contatta con quella telefonata. E il libro si dipana attraverso i colloqui fra il protagonista e la voce misteriosa, in un’alternativa fra timore e terrore con il subentrare della sensazione improvvisa di una trappola. E comunque, pur di incontrare la misteriosa donna, l’uomo non esiterà a mettere in pericolo la sicurezza propria e degli altri. Fra parecchi colpi di scena il libro assume i connotati, il ritmo e le attese tipiche di una spy story. Pur lasciando spazio all’introspezione in cui la personalità dell’autore e quella del protagonista finiscono per sovrapporsi, con tanto di scorribande introspettive a testimoniare contraddizioni e sensi di colpa di un civil servant attratto dalla possibilità di liberarsi anche per poco dalle catene del dovere.
Oltre la fantasia una storia legata alla “prima Repubblica”
Al di là delle fantasia e dei molti colpi di scena, particolarmente interessante è il sottofondo storico-politico in cui viene ambientata la storia. Il cosiddetto biennio del coraggio di Stato capitolo importante di una storia politica ancora da elaborare. Con Giovanni Falcone che subisce il pesante attacco dei suoi colleghi e dell’Unità. Giusto un mese prima di Capaci. Claudio Martelli sarà di fatto obbligato a dimettersi dai magistrati di Milano nel pieno della rivincita di Stato dopo il ‘settembre nero’ degli arresti di mafia e la cattura di Totò Riina. La guerra alla mafia scivolerà poi dentro il buco nero di Tangentopoli e in qualche modo lo Stato preparerà il suo ritiro dal campo di battaglia.
Paolo De Totero
È stato complicato montare un’intervista che parla degli anni ’90, raccontati da uno dei protagonisti della comunicazione di quell’epoca, perchè ogni passaggio, ogni concetto, ogni valutazione politica, sono uno spunto di riflessione. Con Antonio Bettanini si può essere o meno d’accordo, certo la sua preparazione politica merita attenzione, soprattutto oggi che siamo abituati a un’attività istituzionale sempre più concentrata sulla comunicazione piuttosto che sui contenuti, e che spesso ripete i refrain tipici delle interviste calcistiche post partita.
Bettanini ha vissuto e partecipato a una delle epoche più complicate della Repubblica. Ha visto e parlato con i protagonisti di quel periodo.
Un periodo controverso, esasperato e spesso pericoloso. Segnato non solo dalle tangenti, dalle mazzette, dalla commistione tra politica e imprenditoria, dal pool “mani Pulite” e anche dalla caccia alle streghe, ma anche dalla violenta presenza di “cosa nostra”. È un momento storico caratterizzato dalla trattativa Stato-mafia, da mafiosi come Brusca e Totò Riina e da magistrati di frontiera come Falcone e Borsellino.
Ci vorrà ancora parecchio tempo prima che la storiografia ricostruisca tutti i fatti che portarono al crollo della “ prima Repubblica”.
Proprio perchè il periodo di cui parliamo con Bettanini è così complesso e intrecciato ma anche fatale, da un certo punto di vista, per la nostra democrazia, abbiamo deciso di non tagliare l’intervista, considerandola un documento necessario per capire, almeno da un certo punto di vista politico, quello che accadde in quegli anni.
Non potevano mancare alcune considerazioni di Bettanini sulle strategie della comunicazione politica di oggi.
Bettanini chiude l’intervista con un concetto destinato ai comunicatori moderni: ” Manca l’idea di silenzio perchè bisogna parlare quando si ha qualcosa da dire”.
fp
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