È a Ramallah in Cisgiordania, in un edificio vicino al mausoleo Muqata dove è sepolto Arafat, che due anni fa incontro Sharaf Barghouti per la prima volta.
Andiamo in una sala adibita a riunioni, non ci sediamo intorno ad un tavolo, ma in un angolo in modo che nessun ostacolo possa separare le nostre figure. Chiacchieriamo di cibo, di calcio di cultura italiana e palestinese e poi arriviamo alla sua storia, una storia intrecciata inevitabilmente con quella di suo padre: Marwan Barghouti, leader politico palestinese in carcere da 19 anni.
“Quando mio padre è stato arrestato avevo 12 anni. Io, i miei fratelli e mia sorella abbiamo subito sostenuto mia mamma. Abbiamo voluto aiutarla, per questo siamo cresciuti in fretta, ci siamo impegnati nello studio, aiutandoci l’un l’altro sia a scuola sia nelle nostre vite personali. E’ stato difficile ma questo ha permesso a nostra madre di viaggiare per raccontare la nostra storia e quella dei detenuti politici.”
Sharaf ha voluto iniziare da sua madre, Fadwa Barghouti, figura chiave ed importante per la sua educazione quanto quella del padre. Entrambi i genitori hanno dedicato la loro vita alla causa palestinese. Marwan continuando la sua lotta dal carcere e Fadwa portandola nel mondo. Una lotta senza armi ma con l’obiettivo di far conoscere la condizione di vita dei palestinesi.
“In questi lunghi anni non è stato facile crescere senza la presenza fisica del proprio padre e con una madre impegnata nella campagna per la sua liberazione. Quando ci siamo laureati abbiamo festeggiato, ma mio padre non era lì con noi. Sono stati momenti duri, come quando mia sorella ha avuto il suo primo figlio e quando io e mio fratello ci siamo sposati.”
Marwan Barghouti è stato arrestato l’ultima volta nel 2002. Dopo cento giorni di interrogatorio e mille giorni in cella di isolamento è stato condannato a 5 ergastoli e 40 anni di reclusione.
Gli osservatori internazionali presenti hanno denunciato la legittimità del processo in quanto il suo arresto e il suo trasferimento in territorio israeliano sono avvenuti in violazione del diritto internazionale. Inoltre il Parlamento Europeo nelle sue risoluzione richiede ad oggi il rilascio immediato di Marwan Barghouti e quello dei membri del Consiglio legislativo palestinese.
Marwan Barghouti ancora oggi è in carcere.
“Alcune persone possono pensare che abbiamo avuto una vita triste ma non è così. Siamo orgogliosi di lui perché ha scelto di vivere in maniera differente, in modo speciale. Ha scelto di combattere per la propria gente, di difenderla e noi lo sosteniamo pienamente. Ha fatto la cosa giusta. Ha visto persone che venivano trattate ingiustamente ed umiliate” continua Sharaf “Quando aveva 13 anni e viveva in Kobar, un villaggio a quindici minuti da qui, da Ramallah, aveva un cane di quattro anni, era il suo miglior amico. Dormivano anche insieme. Un giorno i soldati israeliani sono entrati nel villaggio. Il cane ha iniziato ad abbaiare e loro gli hanno sparato.”
Marwan Barghouti a quindici anni fonda il movimento giovanile di Al-Fatah e nel 1994 diventa Segretario Generale del Consiglio per la Cisgiordania. Parlamentare nel 1996 e successivamente rieletto nel 2006 ha sempre difeso i diritti del popolo palestinese a resistere contro l’occupazione come riconosciuto dal diritto internazionale.
Durante la prima intifada ha un ruolo importante nell’organizzare la resistenza palestinese contro l’occupazione israeliana, ha sostenuto il processo di pace promuovendo attività e campagne ed ha rappresentato con dignità il suo popolo prendendosene cura.
“Il primo arresto di mio padre è stato a 14 anni. Poi ne sono venuti altri. Quand’era all’università è stato arrestato e picchiato più volte dai soldati israeliani. Ogni volta che doveva dare gli ultimi esami, veniva arrestato e trattenuto per uno o due mesi. Ha preso la laurea in relazioni internazionali in carcere a 40 anni”
Per non soccombere all’interno del carcere Marwan ogni giorno tiene vivo il corpo con la ginnastica, e la mente. Legge e scrive libri, ha continuato a studiare e ad occuparsi di altri prigionieri e dopo aver conseguito la licenza ha iniziato ad insegnare ad altri detenuti che come lui non hanno potuto finire gli studi. E così più di ottanta prigionieri hanno preso il diploma grazie a lui.
“Avrebbe potuto vivere come una persona demotivata e frustrata, ma sia lui che noi in famiglia abbiamo scelto di dare un senso alla nostra esistenza.” continua Sharaf “In qualunque posto tu sia puoi fare la differenza. Anche in carcere. E questa è la lezione più importante che mio padre mi abbia insegnato. Anche nelle situazioni più difficili, quelle che ti farebbero dire che sei sfortunato, se hai una mente salda e giusta e cuore per agire puoi sempre costruire la tua strada.”
Nel 2017 Marwan è più di 1200 detenuti hanno aderito allo sciopero della fame durato più di quaranta giorni come risposta alla violazione dei loro diritti da parte delle autorità israeliane. Essi chiedono la fine della detenzione amministrativa, la fine di torture e trattamenti disumani, la fine dell’isolamento, il miglioramento delle condizioni carcerarie e la visita dei familiari.
“La relazione che ho con mio padre è molto speciale anche se posso incontrarlo due o tre volte l’anno, gli incontri durano 45 minuti ed attraverso un vetro. ma non posso toccarlo nè abbracciarlo e questo da quando avevo 12 anni. Ci sono stati periodi in cui non mi è stato permesso incontrarlo. Ho costruito una relazione con lui attraverso canali non fisici. Ho scelto di sostenerlo, è una scelta di cuore, è la cosa giusta che posso fare, non ho altra scelta.”
Sharaf racconta tutto questo in maniera ferma come chi è saldo nelle proprie idee sapendo quanto sia dura l’occupazione e quanto sia necessario rompere l’isolamento “Mio padre ha educato se stesso e i figli a parlare con le persone perché le persone insieme hanno il potere del cambiamento. Per questo ritengo importante raccontare le nostre storie. E’ un mio dovere farlo”
Ad oggi sono circa 4500 i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane: donne, bambini, attivisti, giornalisti, esponenti politici, difensori dei diritti umani. Gli arresti di massa, le torture, le rigide restrizioni, i metodi di interrogazione illegali con divieto di incontrare un avvocato e le misure punitive da parte dell’esercito israeliano sono all’ordine del giorno. E con la scusa di “minaccia alla sicurezza” i detenuti palestinesi vengono privati dei loro diritti fondamentali di prigionieri politici.
“Ci sono padri che sono stati arrestati quando le loro mogli erano incinte e non hanno mai visto i propri figli. Così come ci sono tante persone che non possono prendersi cura della propria famiglia perché sono in carcere”.
Nel 2013 è partita una campagna internazionale dall’ex cella di Nelson Mandela a Robben Island in Sud Africa per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi. La campagna ha avuto il sostegno di 8 vincitori del Premio Nobel per la Pace, centinaia di parlamentari, 120 delegazioni internazionali tra cui la partecipazione dall’Italia di Luisa Morgantini ex vice Presidente del Parlamento Europeo. E poi artisti, accademici e attivisti da tutto il mondo.
AssopacePalestina
La campagna prosegue tutt’oggi e in occasione della giornata internazionale in solidarietà con i prigionieri politici palestinesi, AssopacePalestina organizza un evento il 15 aprile 2021 alle ore 18, per chiedere libertà per Marwan Barghouti e tutti i prigionieri politici palestinesi e per portare alla luce le condizioni disumane che vivono i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.
Un evento coordinato da Luisa Morgantini
L’evento coordinato da Luisa Morgantini vede la partecipazione di Fadwa Barghouti avvocato e moglie di Marwan, Arab Barghouti figlio di Marwan, Munther Amira ex prigioniero che ha condiviso la cella con Marwan e coordinatore dei Comitati di resistenza nonviolenta campi profughi di Aida, Suha Jarrar avvocato e figlia di Khalida Jarrar parlamentare e tuttora in carcere condannata a due anni come colpevole di “incitamento alla violenza” e di appartenenza a una organizzazione illegale, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, la principale formazione della sinistra palestinese e Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo
Domando a Sharaf quale futuro vede per la Palestina. Prende un tempo prima di rispondere. In quel silenzio c’è la speranza di una vita “normale” ma anche la realtà di un’occupazione che nega quella vita.
“La Palestina è la nostra casa, è la terra dei nostri avi. Non andremo mai via. Anche se Israele ci tratta disumanamente ai check point, per le strade, nelle carceri o in qualsiasi altro luogo, noi non andremo mai via. Siamo qui. Tutti noi siamo ancora qui. O qui o da nessuna parte. O qui o sotto terra” conclude Sharaf “due sono le strade: o ci ammazzano tutti o riconoscono i nostri diritti sulla nostra terra e ci lasciano vivere in pace. Non vogliamo lottare per il resto della nostra vita, vogliamo vivere”.
Maria Di Pietro
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta