I rapporti tra Paesi non sono mai ancorati a fatti recenti o sporadici. Spesso gli eventi, mai casuali, hanno radici antiche. Il “Sofagate” e le tensioni tra Europa e Turchia non sono un fatto nuovo, ma hanno origini profonde non solo religiose o culturali
La Turchia e noi
Il rapporto di collaborazione economica tra la Turchia e l’UE risale al 1963 , con un accordo entrato in vigore il 1° gennaio 1964.
Accordo che delineava le relazioni istituzionali che avrebbero dovuto portare Ankara alla sua piena adesione all’UE e stabilire la libera circolazione delle merci, ma soprattutto la libera circolazione del lavoro, dei servizi e dei capitali al fine di integrare la Turchia nel mercato unico europeo.
Unione doganale
L’unione doganale, istituita tra le parti il 31 dicembre 1995, anno in cui si eliminano i dazi, stabiliva le regole precise e le restrizioni sui quantitativi delle merci per garantire l’equilibrio tra import-export.
Grazie all’unione doganale, la Turchia ha aperto il suo mercato interno alla concorrenza dell’UE e dei Paesi Terzi, garantendo al contempo il libero accesso dei suoi esportatori al mercato dell’UE. Il processo di collaborazione tra UE e Turchia ha dato un grande impulso all’economia turca che ha portato alle importanti misure di liberalizzazione dei primi anni ’80.
Infatti fu determinante il golpe militare del 1980 e la legittimazione ricevuta da Özal, uomo d’affari, fervente ammiratore degli Stati Uniti dove aveva studiato, le cui idee avrebbero rafforzato i principi alla base del nazionalismo turco-kemalista. A questo slancio verso occidente Turgut Özal affiancava, infatti, una formazione politica fortemente religiosa.
Halil Turgut Özal
L’immagine politica di Turgut Özal rappresentò un elemento di novità: si presentò con tratti considerati ambivalenti in un contesto, come quello turco, in cui si era soliti considerare un esponente politico in quanto modernista laico oppure tradizionalista religioso. Özal aveva le caratteristiche necessarie per attuare le riforme ritenute fondamentali per la ripresa dell’economia e per sbloccare nuovi fondi provenienti dal Fondo Monetario Internazionale.
L’escalation degli investimenti in Turchia
La rapidità di integrazione nelle relazioni economiche tra UE e Turchia ha portato il volume degli scambi da 33 miliardi di dollari nel 1996 a 142 miliardi di dollari nel 2020, dove le esportazioni della Turchia verso l’UE valevano 69 miliardi di dollari e le sue importazioni dall’UE 73 miliardi di dollari. Numeri che hanno permesso alla Turchia di guadagnarsi il sesto posto come partner comerciale dell’Unione.
Dal tessile all’elettronica: gli affari europei in Turchia
In seguito all’istituzione dell’unione doganale oltre ai settori tradizionali come l’agricoltura o il tessile e l’abbigliamento, altri settori ad alto valore aggiunto come l’elettronica, i macchinari e l’automotive hanno concesso alla Turchia di occupare un posto rilevante nell’economia europea. Basti guardare come sono cambiati i numeri delle esportazioni turche: tra il 1995 e il 2020, l’export dei prodotti agricoli è sceso dal 15,4% al 7,9% e la quota di prodotti tessili e di abbigliamento è scesa dal 42,1% al 20,1%. Fanno un balzo in avanti, invece, i prodotti automobilistici che passano dal 2,5% al 20,8%, e i prodotti meccanici, dal 2,7% al 10,9%. La quota del comparto siderurgico è aumentata dal 3,2% al 7,8% e la quota dei prodotti elettronici è passata dal 4,5 al 5,6%.
L’Italia guida la classifica degli investitori in Turchia
Quindi se da una parte, forse, l’incidente diplomatico avvenuto in occasione della visita di Ursula von der Leyen e Charles Michel ad Ankara il 6 aprile scorso ha un po’ rallentato la ripresa della cooperazione bilaterale, è anche vero che la Turchia registra 4,5 miliardi di investimenti esteri nei primi mesi del 2020, di cui 3,3 miliardi di dollari provengono dall’Europa.
L’Italia ha guidato gli investimenti esteri in Turchia con 970 milioni di dollari, seguita dagli Stati Uniti con 769 milioni di dollari, secondo i dati compilati dall’Agenzia Anadolu.
Un’economia in difficoltà
“Sebbene il governatore Kavcioglu condivida la linea del presidente turco sugli alti tassi in quanto causa indiretta dell’aumento dell’inflazione – come spiegato in suo editoriale pubblicato sul quotidiano Yeni Safak a febbraio – di fronte al clima di incertezza e sfiducia ha inteso rassicurare i mercati sulla continuità rispetto al predecessore”.
Lira turca in sofferenza e inflazione al galoppo
Nonostante le rassicurazioni della Banca centrale turca il 15 aprile, non sarà semplice per Erdogan riguadagnare la fiducia degli investitori internazionali, che avevano guardato con ottimismo al processo di stabilizzazione intrapreso da Agbal, di recente licenziato da Erdogan, e fatto confluire 15 miliardi di dollari in investimenti di portafoglio negli ultimi mesi, auspicando una ritrovata autonomia della Banca centrale rispetto alle direttive di Erdogan. Ma è anche evidente che se Paese cambia tre governatori della Banca centrale in due anni, vuol dire che la politica monetaria non è credibile. E infatti la lira turca è in forte sofferenza e l’inflazione galoppa.
La nave affonda i topi scappano?
In un clima di incertezza, su cui ha pesato anche la sostituzione del vicegovernatore dell’istituzione monetaria Murat Cetinkaya, che aveva sosotituito Agbal, nell’ultima settimana di marzo gli investitori esteri hanno ritirato 814 milioni di dollari dal mercato azionario obbligazionario turco e 1,1 miliardi da quello obbligazionario.
L’inflazione turca
A marzo l’inflazione in Turchia ha fatto registrare un ulteriore rialzo, attestandosi al 16,19%. Ma non sono dati sposradici visto che è da tre anni che il Paese mantiene un tasso di inflazione a due cifre, nonostante l’obiettivo del governo sia di ridurlo al 5%. Sono in rialzo Il rialzo i prezzi dei beni di prima necessità, in una situazione economica resa ancora più difficile dagli effetti della crisi pandemica, incide pesantemente sulle condizioni di vita della popolazione In questo contesto, non sorprende che la lotta alla disoccupazione, più che il contrasto al Covid-19, sia considerata la priorità per il 58% dei turchi.
Il pil turco è a +1,8%
Ma sei numeri sull’inflazione condannano la politica economica di Erdogan, s econdo il rapporto di aprile del FMI, la Turchia è l’unica economia emergente europea a non essere andata in recessione. Il Pil turco ha registrato una crescita pari all’1,8% nel 2020
Ma il vero business sono i migranti
Sul fronte migrazioni, non è chiaro se ci sarà un’estensione del discusso accordo firmato tra Bruxelles e Ankara nel marzo del 2016, che ha di fatto notevolmente ridotto il flusso migratorio dal Mediterraneo orientale verso l’Europa. È quasi certa, invece, l’intenzione di prolungare da parte europea il finanziamento a servizi di base, istruzione, assistenza sanitaria per i rifugiati siriani in Turchia (oltre 3,6 milioni), in Libano (865.531) e Giordania (665.404). Ad oggi dei 6 miliardi di euro stanziati dall’Ue a favore della Turchia per la gestione dei rifugiati siriani sono stati erogati oltre 4 miliardi.
Lo strumento dell’UE per i rifugiati in Turchia
La Turchia attualmente ospita oltre 4 milioni di rifugiati e l’UE è impegnata ad assistere la Turchia nel frenare i flussi verso l’Europa costi quel che costi. Lo strumento dell’UE per i rifugiati in Turchia, che incassa un totale di 6 miliardi di euro in due quote, prevede un meccanismo di coordinamento tra Turchia e paesi europei progettato per garantire il blocco dei migranti “inutili” trattenuti nei centri di accoglienza e quelli che invece val la pena di fare entrare. Maestranze specializzate e tecnici specializzati. Che finiscono quasi tutti nelle fabbriche tedesche a un costo ben più basso delle maestranze autoctone.
Turchia argine tra est e ovest
Nonostante l’Europa versi a Erdogan cifre importanti per fare il custode dei confini europei e nonostante che la gran parte della popolazione turca, quella più giovane, è orientata a occidente dove vede la possibilità di realizzarsi socialmente e professionalmente, i leader europei guardano con diffidenza alla Turchia nelle vesti di un partner affidabile. D’altronde è dai tempi della guerra fredda che la Turchia gioca un ruolo “argine” tra Europa e l’est. Prima argine nei confronti del blocco sovietico, oggi argine nei confronti dei flussi migratori.
Erdogan guarda all’Africa
E Erdogan lo sa bene e tiene le mani sul chiavistello minacciando di di aprirlo e dare via all'”invasione” verso ovest. Ma guarda anche verso l’Africa e i popoli musulmani che hanno bisogno di una guida e di fare affari.
In tutto il caos sollevato dal “sofagate”una cosa è certa. Non è dato di sapere esattamente di cosa hanno parlato nell’incontro ad Ankara i vertici europei e il “dittatore” o “autocrate” che dir si voglia.
Fabio Palli
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.