Commercio delle armi, gli affari dell’occidente con dittatori e tiranni

La nave Bahri è di nuovo nel porto di Genova. Nella sua stiva ci sono carri armati e altri armamenti

Cambiano i governi, si alternano le amministrazioni, possono essere conservatrici, progressiste, riformiste o comuniste,  ma la necessità di costruire e vendere armi va oltre ogni ideologia. È cambiato il modo di fare la guerra, sono mutati gli schieramenti, e le guerre “regionali” sono diventate il mercato di maggior interesse di chi fabbrica e vende armi. Una polveriera a pochi chilometri da casa nostra, alimentata con armi leggere, esplosivi, missili, ma anche navi, elicotteri e aerei. Nei dati dell’ultimo rapporto Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) ci sono i numeri dell’inferno in terra.

I dati, chi vende, chi compra

Secondo i dati dell’ultimo rapporto del Sipri, Il 33% dei trasferimenti di armi, tra il 2016 e il 2020, ha avuto come meta il Medio Oriente. Che si piazza al secondo posto dopo Asia e Oceania (42%) e prima dell’Europa (12%). In coda Africa (7,3%) e Americhe (5,4%).
Ma il dato forse più allarmante è l’incremento del 25% dell’import di armi nel 2016-2020 rispetto quinquennio precedente. Tra i primi quindici importatori a livello mondiale ci sono sette paesi dell’area Mena ( Middle East and North Africa). L’Arabia Saudita è il principale importatore di armi con l’11%, mentre al terzo posto si trova l’Egitto, nostro buon cliente, con il 5,8%.
La classifica si chiude con l’Algeria al sesto con il 4,3%, all’ottavo il Qatar con il 3,8%, seguito dagli Emirati Arabi Uniti (Eau) con il 3,0%. Fanalino di coda l’Iraq all’undicesimo posto con il 2,5 %, mentre Israele è quindicesimo con l’1,9%.

Negli ultimi 5 anni l’Italia ha esportato per 41 miliardi di euro

Negli ultimi 5 anni l’Italia ha fatto grandi affari nel mercato degli armamamenti.
È di 41miliardi di euro il valore delle autorizzazioni rilasciate tra il 2016 e il 2020,  contro i poco più dei 64 miliardi che però si riferiscono al valore totale  totale di tutte le licenze rilasciate nei 25 anni precedenti.

I nostri affezionati clienti

Negli ultimi quattro anni, i principali acquirenti di sistemi militari italiani sono stati i Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, che hanno comprato armi dall’Italia per un valore di 17 miliardi di euro duranti i governi Renzi, Gentiloni e Conte.
Tra i nostri clienti, tutti nelle zone più “calde” del pianeta, spiccano le monarchie assolute islamiche  come il Qatar il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’Oman. Nella lista ci sono anche alcuni Paesi del bacino sud del Mediterraneo come l’Egitto, Algeria, Israele e il Marocco.

Il “Made in Italy”

Diciamo che i vari Governi che si sono susseguiti hanno tentato di rilanciare la nostra economia privilegiando i due colossi a controllo statale che producono armi, Leonardo e Fincantieri.
E grazie al “Made in Italy” nella lista della spesa di molti paesi islamici troviamo oltre agli elicotteri militari AgustaWestland, i prodotti dell’Oto Melara e i missili Mbda. Ma anche i  sistemi di controllo della Selex e le immancabili armi Beretta.

I nostri concorrenti

La classifica dei venditori di armi vede al primo posto gli Stati Uniti con un incremento delle vendite del 15%.
Il 40% delle armi vendute negli ultimi 5 anni è stato prodotto negli USA i cui principali clienti sono Israele e Qatar ma il miglior acquirente è l’Arabia Saudita che assorbe un quarto dell’export statunitense.
La Russia ha subito una flessione delle vendite soprattutto legata a un rallentamento della domanda da parte dell’India. Ma Alcuni recennti accordi con Egitto, Algeria e Cina hanno attutito il colpo.
I nostri cugini d’oltralpe nell’ultimo quinquennio hanno aumentato le espostazioni del 44% rispetto ai cinque anni precedenti. I clienti affezionati dei francesi sono India, Egitto e Qatar.
Nella classifica dei dispensatori di morte non manca la Germania i cui affari vanno bene, soprattutto nella vendita di sommergibili. Saggia la decisione della Merkel nel 2018 di vietare la vendita di armi all’Arabia Saudita, collegata a molti gruppi di terroristi legati alla jihad.

Mena (Middle East and North Africa) la zona dove si fanno più affari

Ma la zona calda è rappresentata dal Mena, (Middle East and North Africa) regione afflitta da una serie di conflitti, e che negli ultimi anni è stata anche teatro di movimenti politici (le “Primavere arabe”) che hanno contribuito all’instabilità di tutta l’area con conseguente  aumento nella vendita di armi. Alcuni di questi conflitti regionali si sono poi trasformati  in guerre di ben più ampia portata, come in Libia, Siria e Yemen,  anche grazie al contributo delle potenze internazionale che hanno dato sostegno, politico, economico e logistico alle diverse parti in causa.

Al-Qaida e IS (Isis)

E nell’area Mena  sono confluite una grande quantità di armi che hanno alimentato la tradizionale contrapposizione tra Arabia Saudita e Iran e tra Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.
L’instabilità in tutta questa zona ha contribuito alla nascita di gruppi terroristici Jihadisti legati ad al-Qaida e la diffusione dello Stato Islamico con tutte le sue ramificazioni regionali, che rendono la Regione una vera e propria fabbrica di terrorristi.

Le monarchie del Golfo si armano

Nella regione Medio oriente e Nord Africa, le monarchie del Golfo, Qatar, Kuwait, Bahrein, Arabia Saudita, Oman,  e i sette Emirati Arabi Uniti, hanno fatto registrare l’aumento più elevato della spesa militare nell’ultimo quinquennio.

Saddam Hussein e l’effetto domino della sua destituzione

Questa crescita costante nella vendita di armi è in atto dal 2003, anno della caduta del regime di Saddam, dittatore ma anche fattore di equilibrio nella regione, la cui destituzione violenta ha creato un vuoto di potere e avvantaggiato l’espansione dell’Iran in Medio Oriente.
E in un fatale effetto domino, la pressante presenza iraniana, ha portato a un’escalation nella corsa agli armamenti difensivi e offensivi.
Questo succede quando si interviene in maniera maldestra nei delicati equilibri medio orientali producendo più danno che vantaggi.

La Turchia

La Turchia occupa il  20° posto della classifica dei principali importatori di armi nel 2021. Una leggera retrocessione rispetto al report precedente che però non deve trarre in inganno.
Infatti i dati del Sipri non raccontano di un vero e proprio decremento della spesa militare, anzi il contrario. La spesa è in realtà cresciuta passando da 12,3 miliardi di dollari nel 2015 a 20,4 miliardi nel 2019.

La Turchia e la sua industria militare

La Turchia, infatti,  sta investendo in una propria industria militare che ha ridotto le importazioni di armamenti dal 70% al 30%. Ma occupa anche il 14° posto come esportatore di armi nel 2020, con un incremento del 30% rispetto al quinquennio 2011 – 2015.
I clienti più affezionati di Erdogan sono Oman, Turkmenistan e Malesia che assorbono il 50% della produzione turca.

Egitto

Nel contesto nordafricano, sono principalemente due i paesi che emergono per capacità di spesa nel settore della difesa.
Algeria e Egitto hanno investito molto in armamenti anche per rispondere all’ondata di proteste delle “Primavere arabe” che hanno portato instabilità in tutta la regione nord africana.

Il Sinai nodo cruciale

Il Sinai del Nord, considerato il fulcro della violenza islamista in Egitto, è teatro di operazioni militari dal 2013. Nel febbraio 2018, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi ha lanciato una campagna, chiamata Comprehensive Operation – Sinai, per intensificare i controlli e contrastare i ribelli islamisti e le altre attività criminali che comprometterebbero la sicurezza e la stabilità del Paese.

Il coprifuoco che copre anche le atrocità

Il 22 luglio 2019 è stato proclamato lo stato di emergenza ed un coprifuoco in tutta la regione, prorogato per altri tre mesi il 28 aprile scorso. Visto il regime totalitario instaurato da Abdel Fattah al-Sisi, uno dei nostri più importanti clienti, non ci sono statistiche esatte su quanti siano stati i civili uccisi e quanti siano gli sfollati e che fine abbiano fatto.

Questo è il contesto in cui , il 3 maggio, l’esercito egiziano riferisce di aver ucciso circa 126 sospetti militanti islamisti nella provincia del Sinai. I terroristi o presunti tali,  uccisi dall’inizio della campagna militare nel Sinai sono circa un migliaio. Nella fascia di sicurezza creata in Sinai dall’esercito del Presidente Abdel Fattah al-Sisi, si sono verificate vere e proprie atrocità. Persone sradicare dalla loro case e spesso uccise, violenze gratuite ed esecuzioni sommarie.

 Ma cosa piace agli affezionati clienti del mercato mondiale delel armi?

Il potenziamento del comparto aereo va per la maggiore. Gli aerei e gli elicotteri tirano. Gli Usa hanno il loro punto di forza con gli elicotteri da attacco Apaches da vendere a Emirati Arabi Uniti, Marocco, Egitto e Qatar.

 Abu Dabi punta a  50 caccia F-35A, 18 droni Sky Guardian, e a vari tipi di munizionamento, per un valore complessivo di circa 23 miliardi di dollari.

Il Cairo ha già ricevuto una parte dei nostri elicotteri Agusta-Westland prodotti dall’italiana Leonardo, mentre la Russia deve consegnare a Abdel Fattah al-Sisi circa 24 caccia Sukhoi Su-35.

I droni vanno per la maggiore. Massicciamente impiegati da Turchia, Iran e Israele nei principali conflitti regionali, sono ambiti anche da Emirati, il Qatar, l’Algeria, l’Egitto e l’Arabia Saudita.

Nel bacino del Mediterraneo, sia l’Egitto che l’Algeria hanno commissionato un numero rilevante di fregate Meko-A200 alla Merkel. Pechino ha consegnato all’Algeria tre corvette C-28A nel 2016.  Noi italiani abbiamo contribuito con due fregate Fremm, consegnate all’Egitto del dittatore – Presidente Abdel Fattah al-Sisi. Il Marocco ha comprato un pattugliatore d’alto mare classe Avante 1400 prodotto in Spagna.

La Turchia fa da sè, e ha appena inaugurato la prima fregata classe Istanbul nell’ambito dell’ambizioso programma nazionale di potenziamento Milgem, che entro il 2027 dovrebbe far uscire dai cantieri navali turchi altre tre fregate sorelle, che affiancheranno le quattro corvette multifunzione classe Ada già in servizio nella marina di Ankara.

Affari per tutti

Poi c’è il mercato nero, o parallelo, delle armi e degli esplosivi. Quel mercato che attrezza gruppuscoli di assassini in giro per il mondo. Quelli che si vedono nei film, che ammazzano la gente nei villaggi africani, o fanno attentati nei mercati. O che a bordo di un camion ammazzano la gente per strada, nelle nostre tranquille, moderne e democratiche città. Insomma, i terroristi quelli sporchi e cattivi. Perché i costruttori e i commercianti puliti, eleganti e perbene siedono ai tavoli dei governi.

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.