Con una media di due morti al giorno la rotta del Mediterraneo centrale è la più letale al mondo
È considerata la rotta più letale al mondo e non si smentisce. Solo in questi mesi del 2021, secondo i dati dell’Unhcr, sarebbero almeno 321 i migranti morti in mare mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo, con una media di oltre due al giorno. 130 affogati in un colpo solo nel naufragio di tre barconi nel Canale di Sicilia, il 22 aprile scorso, più i 23 dispersi e un morto di ieri.
Arrivi in Italia triplicati rispetto al 2020
Secondo i dati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza e dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (IOM), aggiornati al 30 aprile, dall’inizio dell’anno sono 9.013 i migranti approdati sulle nostre coste, contro i 3.451 del 2020. 1.585 persone sono arrivate nel solo mese di aprile e oltre 2.000 sono sbarcate a Lampedusa nelle ultime ventiquattr’ore.
In crescita anche il numero dei minori non accompagnati che da inizio anno superano i 1.200.
E la situazione non migliorerà. Lo scenario geopolitico dell’area è incerto e poco rassicurante. Con la Libia in corsa verso le annunciate elezioni parlamentari programmate per il 24 dicembre 2021 e il timore della guerra civile, e con la Tunisia oppressa da un’incalzante crisi economica, l’aumento dei flussi migratori è più che prevedibile, così come le gravi ripercussioni dei respingimenti sulle sorti dei migranti.
I respingimenti libici
Al 24 aprile 2021 i cosiddetti “salvataggi” della Guardia Costiera di Tripoli raggiungevano le 6.175 persone. Senza contare le altre 357 sparite nel nulla, alcune certamente stoccate come merci avariate in qualche lager libico.
Sempre ad aprile 2021, secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, erano circa 3.858 i migranti detenuti in centri di detenzione ufficiali in condizioni estreme, senza un giusto processo e con restrizioni all’accesso umanitario. Sulle persone intrappolate nei centri di detenzione non ufficiali, naturalmente, non ci sono stime.
Eppure, sebbene la Libia abbia dimostrato di non essere un buon interlocutore nella gestione delle migrazioni, l’Italia stenta ancora a prendere le distanze dagli accordi che Minniti ha firmato nel 2017 con un Paese coinvolto nelle sparizioni di rifugiati e migranti. Ma non c’è da stupirsi. L’obiettivo dei governi, in effetti, non ha nulla di umanitario ma serve solo a “contenere” l’“assalto” dei migranti africani.
Ecco come dovrebbe funzionare l’attività di soccorso nel Mediterraneo
Ogni Paese costiero è responsabile di un’area Sar, acronimo di search and rescue, dove coordinare ed effettuare le operazioni di salvataggio. Proteggere la vita in mare, cioè recuperare e trasferire i naufraghi in un porto sicuro, è un obbligo per tutti gli stati stabilito dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo siglata ad Amburgo nel 1979.
In caso di emergenza in mare, lo Stato responsabile di quell’area SAR ha l’obbligo di intervenire assumendo il coordinamento delle operazioni di soccorso attraverso il Rescue Coordination Center (RCC) e con l’impiego di unità SAR. Ai soccorsi possono partecipare anche unità militari e civili, compresi i mercantili presenti in zona.
Nel caso in cui un’autorità marittima riceva informazioni di un’emergenza in corso in un’area SAR di competenza di un altro Stato, informa immediatamente il Rescue Coordination Center (RCC) territorialmente competente ed estende la notizia dell’emergenza a tutte le unità in transito in quell’area SAR.
Una volta che lo Stato competente assume il coordinamento, le altre Autorità Nazionali marittime possono intervenire in supporto all’attività di soccorso, con l’impiego di mezzi o la diffusione o il rilancio di comunicazioni. Nel caso di mancata presa in carico delle operazioni di soccorso, subentrerà l’Autorità nazionale SAR che per prima ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile.
Le zone Search and Rescue
Da Mare Nostrum alla Commissione d’inchiesta su Frontex
Dopo la tragedia di Lampedusa, con i suoi 368 morti accertati, l’Italia avvia Mare Nostrum. Attiva dall’ottobre del 2013 all’ottobre del 2014, si tratta di un’operazione umanitaria di salvataggio dei migranti che cercano di attraversare il Canale di Sicilia in partenza dalle coste libiche.
Troppo gravosa per l’Italia, che al tempo ottenne soltanto l’appoggio della Slovenia intervenuta mettendo a disposizione la nave Triglav, Mare Nostrum viene sostituita da Triton, una missione navale di sicurezza coordinata da Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne.
Nel mentre, il conflitto interno in Libia aggrava la situazione di crisi nel Mediterraneo centrale e l’aumentato flusso migratorio si trasforma nell’obiettivo principale dei trafficanti di esseri umani. Una rete messa in piedi per guadagnare bei soldi sulla disperazione di uomini, donne e bambini che ogni giorno tentano di intraprendere i viaggi per mare.
Tutto precipita ancora una volta il 18 aprile 2015 quando a Nord della Libia affonda un peschereccio con a bordo oltre 800 migranti. L’Unione Europea decide di reagire e mette in campo la prima operazione militare di sicurezza contro la tratta dei migranti nel Mediterraneo centrale, Eunavfor Med Sophia.
E arriviamo al 2017 e al Memorandum di intesa siglato con il premier libico Fayez al-Sarraj. Con la firma di Marco Minniti, allora Ministro dell’Interno, l’Italia assicura sostegno tecnico ed economico per la formazione della guardia costiera di Tripoli. La Libia, che avrà una zona Sar soltanto nel 2018, si impegna a migliorare i centri per i migranti.
Dopo mesi di pressanti richieste italiane per regionalizzare il Sar, nel 2018 decade il trasporto automatico in Italia dei migranti recuperati in mare che il nostro Paese aveva accettato fin dal 2014. Sempre nel 2018 l’UE cambia il mandato dell’operazione Triton varando Themis e aggiungendo due nuove aree di pattugliamento in mare, una ad Est per i flussi migratori da Turchia e Albania, e una ad Ovest per quelli che partono da Libia, Tunisia e Algeria. L’agenzia europea aggiunge anche nuove competenze e decide che Themis si occuperà delle attività di intelligence finalizzate a individuare potenziali minacce terroristiche.
In seguito alle tensioni sugli sbarchi tra il successore di Minniti, Matteo Salvini, le ONG e i partner europei, l’operazione Sophia muore a marzo 2020 soppiantata da Eunavfor Med Irini. La novità più discussa di questa nuova impresa targata UE è la clausola sul “pull factor” che prevede il ritiro degli assetti navali nel caso in cui aumenti il flusso migratorio. Questa si fonda, infatti, sulla teoria che la presenza di navi europee in mare sarebbe un fattore di attrazione per i migranti che ne incentiva le partenze.
Non solo. Il focus della missione non è più il soccorso in mare ma l’applicazione dell’embargo sulle armi alla Libia. Per questo le navi sono spostate dal Mediterraneo centrale, teatro delle principali rotte migratorie libiche, a quello orientale, da dove passano gli armamenti.
Oggi la controversa strategia di Frontex, con tutto il suo sistema di non accoglienza, è sotto inchiesta all’Europarlamento per presunte violazioni dei diritti fondamentali.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.