Una guerra vecchia per non perdere la poltrona. Intanto a Gaza è una mattanza

Continua la guerra  tra Israele e la Striscia di Gaza. E come da copione, proprio in queste ore l’artiglieria di Israele sta bombardando Gaza

Questa volta il bagno di sangue non sarà rapido, anche se alcuni mediatori internazionali stanno lavorando per arrivare a un cessate il fuoco. Moriranno molti innocenti, che rimarranno senza volto e faranno statistica, colpiti dai proiettili di artiglieria sparati sulle abitazioni.

Secondo il ministero della salute della Striscia le vittime palestinesi sono più di 100 di cui 28 bambini, mentre da parte Israeliana i morti sono 7 tra cui un bambino di 5 anni, ucciso nella città di Sderot.

Le violenze nelle città miste

Un altro dato preoccupante è l’estensione delle violenze anche tra cittadini arabi ed ebrei. Aggressioni si sono verificate a Lot, Acri e Zarka. Negozi e sinagoghe dati alle fiamme come non si vedeva dai tempi della II intifada.
Ad Acri, alcuni arabi israeliani hanno picchiato un giovane ebreo mandandolo in ospedale in gravi condizioni. I negozi shanno chiuso i battenti in anticipo a causa delle scorribande degli estremisti di destra.

L’omicidio di Musa Hassouna

Nella città mista (arabi – ebrei) di Lod, la scintilla per i disordini è stato l’omicidio del giovane Musa Hassouna, durante le proteste arabe per l’assalto alla moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme. Ma in queste città, è la crisi economica che produce disordini e non l’odio tra ebrei e arabi.
Gli arabi hanno una profonda avversione nei confronti dell’Amidar, la società che gestisce le case popolari che appartenevano ai palestinesi scappati o cacciati via nel 1948 e poi confiscate dallo Stato.

Il libero mercato

E l’Amidar in nome del libero mercato, ha alzato il prezzo degli affitti e costretto gli abitanti, quasi sempre arabi, a trasferirsi altrove. Gli alloggi vuoti sono acquistati da agenzie che li rivendono a famiglie ebree legate all’ultradestra e impegnate nella conquista dei quartieri arabi. Per cui, spesso, la tensione si trasforma in rabbia e non c’è miglior benzina del disagio per dare il via alle violenze.

Le solite modalità

Come detto all’inizio, dal 2005, data in cui Ariel Sharon decise il ritiro unilaterale da Gaza, le modalità con cui Hamas e Israele si scontrano sono pressapoco le medesime. Iniziano con provocazioni a Gerusalemme, proseguono con l’intervento di Hamas dalla Striscia e terminano quando per i due contendenti i cadaveri sono sufficienti.

“King Bibi”

E chi pensa che tutti gli israeliani siano compatti nel volere un conflitto armato contro i palestinesi, siano essi in West Bank o a Gaza, sbaglia di grosso. Netanyahu, o “King Bibi”, è considerato da molti il principale responsabile della sollevazione delle comunità arabe che vivono in Israele. Strategia che serve al leader del Likud per rimanere a galla in un Paese che si sente vulnerabile da troppo tempo.

Un leader in bilico che ha bisogno della guerra

Questo conflitto modificherà l’agenda politica di Israele vanificando la strategia dei partiti del cambiamento guidati da Yair Lapid e Naftali Bennett. Infatti mercoledì sera, la Knesset, il Parlmento monocamerale di Israele, avrebbe potuto approvare la coalizione fra tre partiti della destra, sostenuti dal partito Ra’am, cioè la lista araba unita, guidata da Monsur Abbas.
Accordi quasi fatti, ruoli di governo decisi, coalizione sottoscritta, ma poi la situazione è precipitata  e questo nuovo percorso politico è stato abbandonato per lasciare le redini ancora nelle mani di “Bibi” considerato un premier “esperto”.
Ma l'”esperto” Benjamin Netanyahu, Primo ministro per la quinta volta, a quasi due mesi dall’ultima delle quattro elezioni che si sono avvicendate in due anni, non è stato in grado di trovare una maggioranza in Parlamento.
Su di lui incombono anche pesanti sospetti di corruzione. È accusato di frode corruzione, e abuso di potere, in tre distinte inchieste giudiziarie. Crediamo che sia disposto a tutto pur di rimanere a galla.

I giovani palestinesi e i partiti tradizionali

Ma se questa crisi cruenta capita in un momento di evidente difficoltà della politica israeliana le cose non sono poi così positive nella sponda palestinese. Al centro degli scontri che per settimane a Sheikh Jarrah, in molte città miste e sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, hanno anticipato la guerra in atto oggi, c’era una generazione di giovani palestinesi che non si riconosce nei partiti tradizionali, troppo elitari e inclini al nepotismo. Ad aumentare le tensioni in casa palestinese è stata la decisione di annullare le elezioni, le prime da 15 anni, previste per il 22maggio.
La realtà è che non ci sono oggi leader in grado di offrire un futuro accettabile ai palestinesi dei territori occupati. E Hamas, che cerca di ergersi a difensore dei palestinesi contro il nemico israeliano, è in realtà un partito elitario, conservatore e totalmente scollato dalla popolazione.
Aspettiamo di capire quanti morti serviranno per garantire a “King Bibi” un po’ di respiro per scrollarsi di dosso i suoi problemi giudiziari e le difficoltà di governo, ad Hamas per continuare la sua disastrosa reggenza a Gaza e all’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) per riconquistare un po’ di credibilità dopo le accuse di corruzione e clientelismo.

E i caschi blu?

Mentre in queste ore Gaza è sotto attacco, e a morire sono come al solito i poveracci, molti dei quali donne e bambini, ci chiediamo come mai l’ONU non abbia ancora deciso di mandare i caschi blu nei territori occupati per difendere i civili. Dopo una richiesta risalente agli anni 2000, rigettata dagli USA, la questione non è mai più stata presa in considerazione. Eppure la presenza di truppe di peacekeeping in Golan o nel Libano del Sud c’è sempre stata.

Sabato di tensione

E sabato, come se non bastasse, i palestinesi commemorano la Nakba, la “catastrofe” che ha visto centinaia di migliaia di famiglie palestinesi essere espulse dalel loro case e villaggi per far spazio allo Stato di Israele. E non sarà certo un momento di distensione.

fp

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.