Anche la relazione dell’Agenzia Nazionale Beni Confiscati e Sequestrati parla chiaro: tra le 2.587 aziende gestite dall’ANBSC, tre su quattro hanno chiuso i battenti
Non ha peli sulla lingua Claudio Fava, Presidente della Commissione antimafia regionale siciliana, che sui beni confiscati presenterà una legge voto in Parlamento perchè “la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino ad ora non c’è stato”.
Il problema di fondo starebbe tutto nel fatto che “una legge di straordinario valore come la Rognoni-La Torre fino ad ora è stata utilizzata soltanto nella sua parte repressiva e sanzionatoria e non è stato attuato l’elemento successivo, quello della restituzione del bene come strumento di ricchezza per la collettività”.
E in effetti i beni confiscati restano fermi lì, congelati, con un costo per lo Stato. E sono tanti. Solo nel luglio 2020 l’Agenzia Nazionale Beni Confiscati e Sequestrati ha pubblicato un bando per l’assegnazione di 1.400 particelle catastali. Un’enormità.
“Ma ciò che costa di più è sopratutto lo spreco perchè questi beni si perdono, i terreni marciscono, le case crollano, le aziende chiudono, è questo il punto”, precisa Fava che poi aggiunge con una punta di amaro: “Le faccio un esempio. Quando noi abbiamo un piccolo comune di duemila anime nel messinese che si trova a dover gestire un bene immobile di grande importanza, un investimento mafioso di decine di milioni di euro come un complesso turistico, è chiaro che quel piccolo comune non ha le risorse umane per attingere ai fondi europei per poter intervenire su questo bene e riconvertirlo all’economia legale”.
Questo perchè sui beni sottratti alle mafie, come su tutte le aziende normali che si muovono sul mercato, pesano i costi della legalità. “Quando lo Stato si accolla un’azienda mette tutto in regola. Il lavoratore deve essere pagato e non può essere sfruttato, il suo TFR deve essere versato, i suoi contributi devono essere versati”, continua Fava sottolineando che, al contrario, le aziende mafiose non devono sottostare a questi “inghippi burocratici”.
Il potere mafioso è un ombrello protezionistico sotto il quale fare affari piace un po’ a tutti, soprattutto alle banche che all’impresa confiscata preferiscono l’impresa criminale “perché ruba e rubando ha anche una capacità di restituzione cash che magari lo Stato non ha. Perchè l’azienda mafiosa lavora sotto costo, non paga i contributi e non paga le tasse”.
Sembra paradossale ma “la banca a quel punto dice io non mi fido più, il rating dell’azienda confiscata diventa un rating bassissimo, e a quel punto ottenere un fido o una fideiussione è complicatissimo”.
In sostanza, l’azienda del mafioso viene considerata utile e produttiva mentre la stessa azienda sottratta al mafioso non interessa più.
La mafia è ritenuta più affidabile ma lo è perchè fa concorrenza sleale. È un cane che si morde la coda, insomma.
Ma c’è di più oltre il muro di gomma delle banche.
C’è che le famiglie tentano a ogni costo di riprenderselo il bene confiscato, e la lotta per inserirsi nell’economia sana diventa all’ultimo sangue. “Se non riescono a riprendersi l’azienda, infatti, sottraggono i clienti come hanno provato a fare con la Geotrans, azienda della famiglia Santapaola, o la Calcestruzzi Ericina confiscata al boss Vincenzo Virga”.
“Ecco”, conclude Fava, “tutto questo lo risolvi con un intervento normativo. Lo risolvi facendo in modo che ci sia un senso di vigilanza più complessivo delle istituzioni, dalle prefetture al Ministero dell’Interno ai tribunali, ma anche attivando l’attenzione dell’opinione pubblica, della comunità, per la quale un’azienda confiscata che resta in vita dopo essere stata tolta al mafioso è una grande vittoria, è il simbolo della mediocrità e della fragilità della mafia. E su questi simboli noi costruiamo alla fine la nostra risposta concreta nei confronti della mafia”.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.