Fuori con 45 giorni di anticipo il boss “scannacristiani”, soprannominato così per la sua ferocia
Roma – L’ultimo abbuono di 45 giorni ha aperto a Giovanni Brusca le porte del carcere: fine pena è la formula d’uso che chiude i suoi tanti conti aperti con la giustizia.
Così, a 64 anni, l’uomo che ha premuto il telecomando a Capaci e fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, con tutte le cautele previste per un personaggio della sua caratura criminale, da ieri è una persona libera.
I familiari delle vittime avevano già espresso le loro preoccupazioni quando si è cominciato a porre, già l’anno scorso, il problema di rimandare a casa un boss dalla ferocia così impetuosa da meritare l’appellativo di “scannacristiani”. Ma nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori “affidabili”. Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivavano a 26 anni.
Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, l’anno di scarcerazione calcolato era il 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la “buona condotta” dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre 2021 ma la data è arrivata prima e dunque, dopo aver scontato 25 anni di carcere, il boss di San Giuseppe Jato ha lasciato Rebibbia.
Ora si apre il caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione dei collaboratori di giustizia previsti dalla legge.
La sorella di Giovanni Falcone: “Una legge che ha voluto mio fratello e quindi va rispettata”
“Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”.
Lo ha detto Maria Falcone, sorella del giudice ucciso a Capaci.
“La stessa magistratura in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato”, ha spiegato ancora Maria Falcone aggiungendo che “non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili torni libero a godere di ricchezze sporche di sangue”.
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