Le società moderne producono rifiuti, miliardi di tonnellate di materiali di scarto che si possono trasformare in nuovi prodotti. Se ne parla da decenni, da quando si è sviluppata una coscienza “green” che ha indotto le amministrazioni a non bruciare più l’immondizia e a optare sula soluzioni meno impattanti per nostra vita e quella del pianeta. Inutile dire che siamo indietro rispetto ai nostri concittadini europei che da questo punto di vista sono decisamente più virtuosi. Ma non vogliamo parlare di tecniche di smaltimento dei rifiuti, o del perchè sarebbe meglio non produrli.
I rifiuti sono un problema per tutti gli amministratori, la raccolta dei rifiuti è un problema, trasformare i rifiuti in oggetti è un problema.
E parlando di Calabria, se uno degli indici del fallimento delle amministrazioni che si sono susseguite è la disorganizzazione sanitaria, per certo il secondo è la gestione della spazzatura.
Ma per “fortuna” che c’è la ‘ndrangheta che invece riesce a guadagnare, in un modo o nell’altro, mettendo le mani sui sacchetti della spazzatura anche grazie al prezioso aiuto di amministratori conniventi. Sarà la parola “riciclare” ad aver risvegliato la fantasia dei mafiosi che nel campo del riciclo sono dei fenomeni.
Il termovalorizzatore dei Piromalli
Questa storia nasce a Gioia Tauro, e riguarda il termovalorizzatore in località Cicernia, un’area prospicente al porto. Il termovalorizzatore dei Piromalli verrebbe da dire. ‘Ndrina tra le più importanti in Calabria, che dovendo “gestire” un impianto di smaltimento aveva pure un tariffario. Ogni camion versava 80 euro, tassa “ambientale” peraltro conveniente. Finché la DDA di Reggio Calabria non è andata a ficcare il naso e ne è venuto fuori un polverone tale che ancora oggi, dopo 4 anni, cioè dal 2017, indagini e arresti sono ancora in corso.
In quell’operazione gli investigatori arrestarono Gioacchino Piromalli, figlio di “don” Pino dell’omonima cosca, Rocco La Valle, ex sindaco di Villa San Giovanni, i fratelli Giuseppe, Domenico e Paolo Pisano, imprenditori legati alla famiglia Piromalli, Francesco Barreca, che di mestiere faceva l’autotrasportatore e il boss Giuseppe Commisso. Coinvolta nell’inchiesta anche l’ispettrice della Polizia di Stato Ilenia Coco, compagna di Giuseppe Pisano.
Gli esiti di indagine hanno confermato l’infiltrazione, anzi, la gestione diretta della ‘ndrangheta nella costruzione e nel funzionamento del termovalorizzatore, attraverso l’utilizzo di aziende aperte per l’occasione e gestite dai fratelli Pisano. Per scoperchiare il pentolone sono state decisive le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e le testimonianze di tecnici e addetti ai lavori all’interno del termovalorizzatore.
Un agguato a colpi di Kalashnikov
Giuseppe Pisano salì alle cronache per un agguato a Gioia Tauro nel 2013, quando fu raggiunto da una raffica di colpi di AK47. Il calore delle raffiche gli consigliò un frettoloso trasferimento a Pian di Mugnone, frazione di Fiesole, dove fu raggiunto dalla compagna che nel 2014 prese servizio presso la Questura di Firenze.
Se il quadro degli indagati la dice lunga sulle persone coinvolte nel giro di spazzatura intorno al termovalorizzatore di Gioia Tauro, i due milioni di euro all’anno che la ‘ndrangheta incassava, danno la misura di quanto fosse conveniente occuparsi di rifiuti. Ma anche il marketing ha un ruolo importante negli affari. E Gioacchino Piromalli, “l’Avvocato”, aveva capito che era meglio far pagare poco affinchè tutti pagassero.
Con le mazzette accontentavano tutti: ex amministratori locali, avvocati, massoni mafiosi.
E se pensate che la questione fosse relegata solo alla Calabria sbagliate di grosso perché questa operazione, chiamate Metauro nelle carte degli inquirenti, parte da Reggio Emilia, dove Carmelo Bellocco sapeva molto bene che Gioacchino, l’avvocato, poteva contare su una struttura articolata e ben congegnata. Perchè Gioacchino Piromalli “ha Pisano là all’inceneritore, quello è il suo braccio destro”, si sente in un’intercettazione.
Un inceneritore destinato a Palmi spostato per le necessità dei Piromalli
E la cosca Piromalli era così potente che riuscì a far spostare l’ubicazione del termovalorizzatore da Palmi a contrada Cicerna, un luogo a loro più congeniale. Sembra la solita questione di tangenti, direte voi. No, la situazione è molto più grave e radicata, diciamo noi. Perché la ‘ndrangheta, che ha un giro d’affari che potrebbe risanare il debito pubblico italiano in pochi anni, si muove per soldi ma gestisce potere, territorio e politica. E se deve, anche le forze dell’ordine.
L’operazione legata al termovalorizzatore di Gioia Tauro fu fatta con il benestare dei De Stefano, ‘ndrina della periferia nord di Reggio. A dire queste cose è Salvatore Aiello, già collaboratore dell’ex senatore Antonio Caridi. Una famiglia storica, molto radicata nel territorio, con allenze importanti. Una ‘ndrina da trattare con i guanti. E a proposito di collusioni con la politica, ve lo ricordate il senatore? No? Vi rinfreschaimo la memoria.
L’unico termovalorizzatore della Calabria
Ma torniamo al termovalorizzatore, l’unico della Calabria, e alla cosca Piromalli. Secondo Candeloro Ficara, fratello di Giovanni “il Gioielliere”, boss alleato dei Pelle-Vottari di San Luca, i rifiuti servivano per prendere soldi pubblici. A gestire gli affari “l’Avvocato” Piromalli mette i fratelli Pisano, che rappresentavano una garanzia per tutti i clan.
Ma forse non per tutti. Come abbiamo già accennato, nel 2013 Giuseppe Pisano scampa a un attentato, anzi, per meglio dire, schiva una raffica di AK47. Riamane illeso, per un colpo di fortuna o per la pessima mira del sicario.
È il momento di parlare del ruolo di Ilenia Coco, ispettore della Polizia di Stato, che con Giuseppe Pisano ha una relazione. Sarà lei a entrare nei server della Polizia per controllare se nei confronti del compagno ci siano indagini in corso.
Un termovalorizzatore che non funziona
Nell’ambito dell’inchiesta “Metauros”, gli inquirenti in un primo momento lo mettono ai domiciliari, poi nel novembre del 2017 la sua posizione si aggrava e finisce in carcere, per essere poi scarcerato nel dicembre del 2017.
C’è un altro dato di fatto. Il termovalorizzatore non ha mai funzionato bene, costringendo le amministrazioni all’utilizzo, neanche a dirlo, delle discariche private.
Il termovalorizzatore, avrebbe, teoricamente, una capacità di 120mila tonnellate all’anno, quantità che soddisferebbe le esigenze di tutti i comuni calabresi. Ma la teoria è una cosa, la realtà un’altra. Circa 500 mila tonnellate di rifiuti sono finite in discarica privata. E in 9 anni il costo per il conferimento è passato da circa 72 euro a 105 euro a tonnellata, aumento che impoverisce le tasche dei calabresi, quelli onesti.
L’operazione Metauros non si ferma
Mentre gli enti locali sono incapaci di una programmazione per far ripartire a pieno regime il ternovalorizzatore di Gioia Tauro, è notizia di oggi di altri arresti della DDA di Reggio Calabria, sempre legati all’operazione “Metauros”. A finire nell’occhio del ciclone questa volta sono due imprenditori accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. Insomma pesci piccoli in una mare di spazzatura in cui gli squali sono a proprio agio e la fanno quasi sempre franca. E intanto sono passati quasi vent’anni dalla costruzione del termovalorizzatore di Gioia Tauro, arriva l’estate, le strade si riempiranno di sacchetti della spazzatura. Vent’anni, nessun cambiamento.
fp
AGGIORNAMENTO L’ex senatore Fi Antonio Caridi è stato assolto in primo grado nel processo Gotha
Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.