Secondo i dati Istat il valore della gdo risulta in crescita del 3,3%, mentre la vendita dei piccoli esercizi commerciali, le botteghe e i negozi di quartiere, è crollata del 18,1%
Genova – Mira Lanza, Ponte Parodi, la rotonda di Carignano, il Palasport, via Carrara, l’ex mercato di Corso Sardegna. Questi sono solo alcuni degli ultimi colpi messi a segno dalla grande distribuzione che a Genova, come in praticamente tutte le grandi città italiane, sta trovando le più ampie praterie per ampliare o rimodulare il proprio giro d’affari. E nel farlo trova facile sponda nelle amministrazioni locali, totalmente dipendenti dall’intervento dei privati per gestire quella che viene spacciata come rigenerazione urbana ma che nei fatti è una rimodulazione dei flussi economici di mercato all’interno di un tessuto urbano sempre più slegato dall’identità (perduta) dei luoghi e dall’interesse pubblico.
Uno schema semplice
Lo schema è semplice e collaudato: aree urbane dismesse o dimenticate diventano appetibili dal punto di vista logistico per la gdo per via di cambiamenti contestuali o per intervenute necessità di mercato, e perchè se ne progetta una loro messa a frutto. Da quel momento per quei buchi urbani dimenticati da decenni diventa urgente la riqualificazione, per cui rapidamente si cambiano le carte in tavola, con deroghe o varianti ai piani urbanistici vigenti e si apparecchia per il grande incasso, con concessioni spesso a lunghissimo termine.
Un canovaccio seguito alla lettera per Mira Lanza e Carignano, dove si sono votate concessioni e varianti urbanistiche a scatola chiusa, con progetti fantasma e dettagli ignoti alla popolazione ma anche agli organi democratici decisionali come i consigli comunali. Alla stregua dei buoni omaggio per i regali difficili: non so cosa fare, e allora chissenefrega pensaci tu, ecco il denaro. Solo che chi regala, in questo caso, regala cose non sue, ma di tutti.
La pandemia ha accelerato un processo già in corso
Questa fenomeno, comune a molte grandi città post industriali, Torino e Genova su tutte, però non dovrebbe stupire: la pandemia, infatti, ha solamente accelerato un processo già in corso, dove a livello economico il settore della grande distribuzione è il solo a reggere la crisi economica iniziata nel lontano 2008, grazie alla spartizione del mercato in pochi grandi vettori, capaci di sostenere economie di scala e contenimento dei costi di produzione, con un rafforzamento della logistica che permette il contenimento dei prezzi per il consumatore.
Quello che ha cambiato, o forse solamente accelerato, la pandemia è la resa della strutture di vendita della gdo in base alla loro dimensione: lo scorso 8 giugno l’Istat ha pubblicato una nota sull’andamento del commercio al dettaglio di aprile 2021, che vede una leggera contrazione delle vendite su base nazionale dello 0,4%, dove però a perdere sono stati i beni non alimentari (-1,5%) che hanno ammorbidito la crescita del 1% del settore alimentare, meno volatile rispetto alle congiunture del mercato.
Su la GDO, giù il piccolo commercio
Interessanti sono le serie storiche allegate al rapporto di Istat: rispetto al 2015 il valore della gdo risulta in crescita del 3,3%, mentre la vendita dei piccoli esercizi commerciali, le botteghe e i negozi di quartiere, è crollata del 18,1%. La grande distribuzione di generi alimentari è cresciuta del 15%, mentre i piccoli negozi alimentari sono scesi del 5,5%. Il commercio via web ha contribuito al crollo verticale delle vendite al dettaglio dei generi non alimentari, cadute del 17% per le grandi superfici di vendita e del 21,8% per i piccoli negozi.
Lo dice Mediobanca
Secondo uno studio di Mediobanca, pubblicato in questi giorni, le grandi strutture di vendita, gli ipermercati per intenderci, hanno ugualmente subito una forte battuta di arresto in questi ultimi due anni, visto la scarsa raggiungibilità a piedi, l’aumento dei costi di manutenzione e sanificazione, la chiusura delle parti no-food, e la gestione più complessa dei magazzini.
Non è quindi un caso che le medie strutture di vendita siano le protagoniste di questa stagione di rinnovo del mercato. Il fatto poi che la politica si trinceri dietro allo spostamento di licenze già in essere, come per Carignano, Mira Lanza, via Carrara e piazza Soziglia, di fatto non cambia l’analisi: la gdo si sta rimodulando, tagliando i rami secchi, per trovare nuovi spazi che possano massimizzare il profitto tenendo conto della rinnovata logistica di approvvigionamento e di accesso da parte dei consumatori, dei costi di manutenzione e della potenzialità di attrattiva. Sarebbe da capire, e la politica dovrebbe preoccuparsene, questi rami secchi dove siano, visto che si candidano a diventare nuovi spazi vuoti in zone urbane che si suppone essere meno accessibili e frequentate, e quindi a forte rischio degrado per il tessuto urbano in cui sono inserite.
La povertà di idee
Queste dinamiche di mercato sono del tutto normali e prevedibili, e inattaccabili dal punto di vista della scienza economica. Il problema sta nella gestione urbanistica di questo fenomeno, che in questi mesi, ma anche in questi anni, sembra essere sempre più totalmente alla mercé del profitto dei (grandi) privati. Il fatto che l’amministrazione civica e la classe dirigente della nostra città non riesca a programmare una rigenerazione urbanistica autonoma è il vero problema: poi in questa fase di recovery plan, di finanziamenti milionari a pioggia in arrivo da Roma e da Bruxelles, cade anche la scusa della “povertà” dei comuni. L’unica povertà che si riscontra oggi è quella di idee e di visione urbanistica di lungo periodo, povertà di progettazione e capacità di gestione politica delle città. O mancanza deliberata di volontà. Delle due è difficile decidere cosa sia peggio, in attesa di vedere altri spazi vuoti riempiti da scaffali e carrelli. Siamo consumatori, prima che cittadini.
Errico Pimmentel
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta