Guardia costiera libica: traffico di esseri umani, armi e droga. A volte fa più comodo non guardare

Il Mediterraneo è un’autostrada che porta ricchezza alle organizzazioni criminali che contrabbandano qualsiasi merce che abbia un compratore. Un attore importante di questi traffici è la Guardia costiera libica che l’Italia ha finanziato e addestrato per tenere lontani i migranti dalle nostre coste

Il traffico di esseri umani

La rotta del Mediterraneo centrale, quella che da Tunisia, Libia e Algeria porta alle coste italiane, è stata quasi sempre la più utilizzata dalle organizzazioni che si dedicano al traffico di esseri umani.

Organizzazioni criminali che interagiscono con altre strutture che si occupano di profitti illeciti derivanti dal traffico di armi, droga o sigarette. Una sorta di cartello del contrabbando che agisce nel Mare nostrum.
Il traffico di droga è in assoluto il più redditizio, ma numeri rilevanti arrivano anche dal contrabbando di carburante , un settore in forte crescita nell’ultimo anno, che vede impegnate organizzazioni che per mimetizzarsi utilizzano la  contraffazione delle bolle d’accompagnamento e delle fatture. 

Ma anche il traffico di persone ha una domanda alta, e, nonostante sia meno redditizio, vale comunque circa 6 miliardi di euro. Dalla porta del Mediterraneo, dal milione di persone circa del 2015 siamo passati alle 123mila del 2019, fino alle  95mila del 2020. Numero in calo anche a causa dell’emergenza sanitaria. Dal 2015, anno record del flusso migratorio, l’approccio dell’Italia per contrastare i trafficanti di persone è lo stesso impiegato nella lotta alla mafia.

Intercettazioni e collaboratori di giustizia, sono gli strumenti utilizzati soprattutto in Sicilia. Purtroppo, nonostante gli sforzi, ancora oggi non si riesce a capire con esattezza quali siano le organizzazioni che gestiscono i traffici dal Nord Africa e quali le capacità criminali, il loro grado di penetrazione e la rete di connivenze sul territorio. Si sa, per esempio, che i trafficanti si muovono in cellule indipendenti, molto dinamiche, e si adattano rapidamente ai cambiamenti economici e politici.  Ma anche alle esigenze di mercato.

Guardie e al tempo stesso ladri

Un  altro aspetto che è emerso da alcune indagini delle Procure italiane, è il duplice ruolo delle varie milizie nordafricane che da una parte sono organi ufficiali del loro Stato, ma dall’altra sono trafficanti e contrabbandieri e quindi direttamente coinvolti nei traffici illeciti. In buona sostanza, quando l’Europa paga per arginare il contrabbando o il traffico di esseri umani, i soldi finiscono nelle tasche di chi organizza i vari traffici. E come tutti i gruppi criminali che si rispettano, una parte di questo denaro lo versano alle famiglie di chi finisce in prigione o viene ucciso.
Una forma di welfare che conosciamo bene perché applicato dalle mafie di casa nostra.

Il gasolio della “mafia libica”

L’esempio più noto di “mafia libica” è rappresentato dal gruppo criminale di Zawiya e Zuwara, guidato da amazigh (berberi), con uomini d’affari italiani e maltesi.
Il report dell’Onu del 2019 si è concentrato sul centro di detenzione Zawiya, in Libia occidentale, ricavato da un’ex base militare collocata in zona strategica tra il porto e le raffinerie della città. Un posto perfetto per gestire sia il traffico di gasolio che quello di esseri umani.
Ossama Milad Rahuma era il carceriere del centro di detenzione dei migranti di Zawiya, luogo ufficialmente riconosciuto dal Ministero dell’Interno libico e dai governi dell’Unione europea. Il Ministero fa parte del Governo di accordo nazionale (Gna) sostenuto dalle Nazioni Unite. Insomma le chiavi dell’inferno nelle mani di un criminale che tutti conoscevano e di cui molti apprezzavano le doti di risolutezza.
Ossama Milad Rahuma era uno dei capi della fazione militare Shuhada al-Nasr, ma è anche parente del guardacoste libico Abd al-Rahman Milad detto al-Bija, un delinquente patentato, che nel 2017 ha pure fatto visita, accompagnato dai nostri servizi, a un centro siciliano di accoglienza per migranti, il Cara di Mineo.

Sempre nel 2017, il guardacoste Abd al-Rahman Milad finisce nelle indagini della Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione “Dirty Oil”, accusato di favorire solo le navi di due trafficanti di gasolio maltesi in affari con il suo clan.
Ma non è finita. La Guardia di Finanza di Catania, nel 2017, aveva messo le manette a 9 trafficanti con l’accusa di riciclaggio di gasolio che veniva trafugato dalla raffineria libica di Zawyia e destinato, dopo la miscelazione, ad essere immesso nel mercato italiano ed europeo anche come carburante da autotrazione.
All’associazione criminale, che si è avvalsa dell’opera di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata contestata l’aggravante mafiosa proprio per la connivenza con Nicola Orazio Romeo ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, che in una conversazione intercettata dalla Polizia veniva definito un soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”.

Un giro d’affari di 30 milioni di euro

In un anno di indagini, i militari  della Guardia di Finanza di Catania, sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di kg. di gasolio per un valore di circa 30 milioni di euro.
E in questo lucroso traffico, oltre all’italiano A.D. della  Maxcom Bunker Spa, finirono indagati e in manette Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, alias “il Malem” (il capo),nativo di Zuwarah, fuggito dal carcere nel 2011 dopo la caduta del regime di Gheddafi, i cittadini maltesi Darren e Gordon Debono che con Nicola Orazio Romeo, si occupavano del trasporto via mare del gasolio e gestivano i contatti con i clienti. In carcere anche il libico, originario di Zuwara, Tareq DARDAR, che si occupava di veicolare i proventi illeciti su conti esteri intestati a Ben Khalifa.

All’Italia faceva comodo non guardare

E mentre Ossama Milad Rahuma, faceva affari e gestiva il centro di detenzione vicino alla raffineria in accordo e con il benestare di tutti i governi europei, nel rapporto, l’ONU si legge che “i migranti sono vittime di sfruttamento sessuale e violenza, pestaggi, fame e altri trattamenti degradanti”. Il prolungamento in mare del centro di detenzione è l’attività della Guardia Costiera libica che agevola i migranti in grado di pagare un riscatto e affonda quelli che non hanno da dare nulla. Quando gli affari con i migranti calano, la Guardia Costiera libica si occupa di contrabbando di gasolio, armi e droga.
Ma in questo grande affare, fatto di ricatti, torture e affondamenti in acque libiche, l’Italia gioca e ha giocato un ruolo fondamentale. Già dai tempi di Gheddafi, il nostro Paese si era impegnato a regalare a Tripoli motovedette classe Bigliani comprese del relativo addestramento del personale militare di bordo, e questo attraverso il Fondo fiduciario Africa-Europa che ha versato 91,3 milioni di euro.
Insomma, abbiamo addestrato i trafficanti a utilizzare le motovedette della Guardia Costiera libica, forza militare che senza il nostro aiuto non esiterebbe.
Nel 2020 il Tribunale di Messina chiude un’indagine e  condanna molti personaggi che erano ladri ma al tempo stesso anche di militari della Guardia Costiera libica. Probabilmente stava diventando imbarazzante il fatto che tutti i governi europei sapessero, italiani compresi, di essere complici di un’organizzazione criminale senza scrupoli. E poi, mentre la nostra Guardia di Finanza cercava di arginare i traffici illeciti, i servizi italiani trattavano con i contrabbandieri per gestire il centro di detenzione in Libia. Troppo anche per noi.

Mediterraneo, le rotte della disperazione e del profitto: il traffico di armi

All’interno della zona geo-politica del Mediterraneo Allargato ci sono tre aree in cui si concentra il commercio illecito di armi leggere. La più attiva è la zona ex sovietica, poi c’è quella nord-africana e medio-orientale, e infine quella Balcanica. Un fattore che le accomuna è la difficoltà di controllo istituzionale e la facilità di aggirare leggi e confini. A questo si somma una certa propensione delle milizie locali alla corruzione.
Fulcro della rotta orientale è l’Ucraina che ha un ruolo fondamentale nel commercio illecito di armi da fuoco. Da lì passano migliaia di AK47 e di pistole Tokarev. Il porto di riferimento è quello di Odessa attraverso il quale le armi arrivano in Europa Centrale.

Altra rotta, ma questa volta per via aerea, è quella che porta gli armamenti dai paesi ex sovietici verso i paesi africani utilizzando come base operativa gli Emirati Arabi Uniti, che operano senza problemi legali visto che non sono sotto la giurisdizione delle Nazioni Unite.
Un’altra area critica, poco controllabile e istituzionalmente debole, è quella che comprende Medio Oriente e Africa del Nord (MENA) che dopo le “primavere arabe” e in conseguenza della caduta di Gheddafi, hanno incrementato il traffico d’armi.

Da dove escono tutte queste armi?
Come a Kiev e a Tirana, a Tripoli o nell’area della ex Jugoslavia, furono saccheggiati gli arsenali, ed essendo le armi un bene durevole, sono in circolazione da anni centinaia di migliaia di pistole e fucili d’assalto che cambiano padrone in base alle esigenze.  Nell’area MENA si è poi sviluppato un mercato lecito che si mischia con i traffici illeciti e rende difficoltoso distinguere i carichi autorizzati da quelli con autorizzazioni false.

La cocaina

I narcos spediscono la cocaina  via mare o via aereo. Le porte d’ingresso per l’Europa sono la Spagna e i grandi porti del Nord Europa in Belgio e Olanda, mentre la produzione si sviluppa nell’area andina con tre produttori principali: Perù, Colombia e Bolivia. Questo perché l’arbusto della coca cresce nei climi caldi e umidi, a un’altitudine compresa fra i 700 e i 2000 metri sul livello del mare.
La cocaina arriva nascosta in container o per via aerea con i corrieri che ingeriscono gli ovuli. Il traffico attraverso l’Africa utilizza le rotte del Sahel per arrivare sulle coste del Mediterraneo.
La cocaina destinata in Italia giunge prevalentemente via mare nei porti e nelle aree costiere tirreniche. I porti più importanti per i trafficanti sono Genova, Gioia Tauro, Livorno e La Spezia
La frontiera marittima si conferma lo scenario operativo dove sono state intercettate le maggiori quantità complessive di cocaina: i dati riferiti al 2020 vedono al primo posto il porto di Gioia Tauro, con 6.084,19 kg, seguito da quello di Livorno (kg 3.370,79), e di La Spezia (kg 333,95). Genova ha avuto sequestri di rilievo nel 2019 con due operazioni dove sono stati complessivamente sequestrati 4500 kg di polvere bianca in due distinte operazioni: “Neve genovese” e “Nevischio genovese”.

Libia e cocaina

In Brasile, poco più di un anno fa, la Polizia Doganale sequestra nel giro di pochi mesi circa 1,2 tonnellate di cocaina, ben nascoste in container carichi di mais. Destinazione della droga era la Libia.
L’indagine che è scaturita da questo sequestro ha rivelato come narcos sudamericani, milizie libiche, criminalità maltese in affari con Cosa nostra, ‘ndrangheta e boss dei Balcani, oltre al contrabbando di gasolio, si dedicavano con profitto al traffico di stupefacenti.

Il Sahel

La rotta degli stupefacenti era la zona del Sahel, fino alla Libia, dove un esercito di manodopera a basso costo fatta di trasportatori e corrieri, utilizzano navi fantasma che poi spariscono nel nulla.
Il rapporto 2020 dell’Osservatorio Antidroga dell’Unione Europea ha sottolineato come i trafficanti libici, che da una parte contrattavano con i governi europei per arginare gli sbarchi, dall’altra si dedicavano ai traffici di cocaina e hashish in società con imprenditori in Spagna, Grecia, Egitto, Malta, Emirati e Turchia. Così mentre la Guardia Costiera libica teneva “pulito” il corridoio di mare tra Libia e Italia, attraverso quel corridoio venivano trasportate tonnellate di stupefacente.
Finchè succede che sulle coste siciliane non vengono ritrovati i cadaveri di migranti affogati ma tre subacquei morti, insieme a vari pacchi di droga sparsi su diverse spiagge: trentanove kg di hashish a Capo d’Orlando, 30 kg a Marsala e 30 kg sulla spiaggia di Marinella di Castelvetrano.
Per lo spaccio in Europa, e qui chiudiamo il cerchio, entrano in scena i contrabbandieri di petrolio e i gestori dei centri per migranti in Libia. Grazie ai loro ottimi rapporti con le mafie italiane, e in particolare con la ‘ndrangheta, utilizzano una rete logistica fatta di pratiche burocratiche fasulle o società in giurisdizioni “offshore”.
Anche se il vero asso nella manica dei contrabbandieri era un altro, ovvero la totale concentrazione delle autorità, soprattutto iltaliane, a contenere gli sbarchi. Nel mentre, libici, mafiosi italiani e uomini d’affari maltesi, trasportavano droga, armi, gasolio e internavano i migranti.

fp

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