Un video racconto dei fatti del G8 di Genova descritti dai protagonisti. Oltre la cronaca. Oltre il come e il perché. Alla ricerca del dopo
Genova nel luglio del 2001 è una città blindata per il vertice del G8, la riunione dei sette Paesi più industrializzati del mondo più la Russia. Ma in città non ci sono solo premier, capi di stato, diplomatici, e ministri.
A Genova c’è anche chi non condivide quella visione del mondo, del mercato, della globalizzazione. Sono tantissime organizzazioni di ogni colore, 700 solo le sigle italiane. Sono venuti a Genova per manifestare pacificamente il loro dissenso.
Poi ci sono le forze dell’ordine. 4.000 rinforzi dei reparti dell’esercito stanno dentro la Zona rossa. L’allora capo della polizia, Gianni de Gennaro, parla di 11.000 uomini in totale, tra polizia, carabinieri, finanza e forestale.
Forze dell’ordine da una parte e manifestanti dall’altra, in una tensione crescente.
Sì perché a Genova nel luglio del 2001 ci sono anche i Black bloc, il Blocco nero, che devastano indisturbati la città mentre le forze dell’ordine caricano i cortei con i nuovi manganelli tonfa e i gas lacrimogeni.
Tutto questo finirà col trasformare una questione politica in una questione di polizia.
200 sacche da cadavere
In quei giorni la tensione in città è palpabile. La stampa nazionale rilancia informative del Sisde raccapriccianti. Ci si mette pure la BBC a buttare benzina sul fuoco quando annuncia che il Governo italiano, guidato da quel Silvio Berlusconi che aveva disposto personalmente le fioriere davanti a Palazzo Ducale e vietato con un’ordinanza di stendere i panni nei dintorni, avrebbe acquistato 200 body bag, le sacche da cadavere.
C’era tensione a Genova in quei giorni.
Ma basta la tensione a spiegare tutto quello che è successo? Tutto quello che abbiamo visto nelle ore e ore di girato che la magistratura ha acquisito poi nei processi?
I supertestimoni della caserma di Bolzaneto
Ci sono tante immagini del G8 del 2001. Le riprese delle videocamere. Le prime foto scattate con i telefonini. E poi c’è la rete, quella di Indymedia, dove riversare tutto. La sequenza della morte di Carlo Giuliani. Le pozze di sangue della Diaz.
La narrazione dei fatti è tutta lì. O forse no.
Ore e ore di girato ma non c’è nulla a testimoniare le torture della caserma di Bolzaneto.
Saranno due infermieri penitenziari, Marco Poggi e Ivano Pratissoli, ad avvalorare le testimonianze dei fermati. Ma la pagheranno cara. Mentre intorno ai pezzi grossi che mano a mano venivano messi sotto processo si creava una bolla di protezione e omertà, i due testimoni hanno dovuto lasciare il Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, e hanno perso il lavoro.
6.200 fumogeni e 20 colpi di pistola
6.200 fumogeni e 20 colpi di pistola sparati dalle forze dell’ordine in una città ormai allo stremo. È vero, le forze dell’ordine non sono solo questo. Sono Nando Dalla Chiesa, sono Ninni Cassarà, sono Boris Giuliano e tutti gli agenti di scorta trucidati dalla mafia.
Però a Genova c’erano quelli che picchiavano i manifestanti “inertizzati”, come si dice in gergo. Che torturavano i fermati. Che sghignazzavano per radio dicendo “uno a zero per noi”. E quell’uno era Carlo Giuliani.
Ore e ore di girato che ci mostrano la notte della Repubblica. Ma in tutto questo c’è un tassello mancante. E questo tassello è quello delle responsabilità politiche e istituzionali per cui non ha mai pagato nessuno.
La guerra dei mondi
Pozze di sangue, lacrimogeni, tonfa, agenti in assetto di guerra, black bloc infiltrati nei cortei, tre processi e 250 procedimenti contro le forze dell’ordine archiviati.
Una vera e propria guerriglia urbana quella del G8 di Genova, che ha sconvolto l’Italia e il mondo e ha oscurato il successo di un movimento che aveva portato in città almeno 200.000 manifestanti a contestare una visione del mondo che aumenta le diseguaglianze. E forse proprio questo fiume di persone che ha invaso Genova pacificamente ha messo paura al potere che ha reagito con violenza e ha cancellato in un istante la Costituzione, la legge e persino la libertà di stampa.
Perché parlare ancora del G8 dopo vent’anni?
Genova nel luglio del 2001 è una città blindata che si appresta ad accogliere a Palazzo Ducale i grandi della Terra.
Insieme a loro arrivano in città tanti giovani che chiedono una globalizzazione sostenibile e rispettosa dei diritti umani.
Ma qualcosa va storto e quei giorni si concludono con un disastro per l’ordine pubblico e un bilancio drammatico: volti cooperi di sangue, braccia rotte dai tonfa, vetrine sfondate, macchine bruciate, più di 1.000 feriti e un ragazzo di 23 anni morto sull’asfalto, Carlo Giuliani.
Sono passati vent’anni da allora e siamo fermi al punto di partenza. O forse peggio. Perchè ormai la globalizzazione dei mercati ha soppiantato quella dei diritti e i sitemi di protezione sociale sono andati a farsi friggere.
Ecco perché ha ancora senso parlarne oggi.
Simona Tarzia
Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.