Carcere, Antigone: videocamere negli istituti e identificativi per gli agenti. Nel rapporto i numeri del fallimento

Dalla relazione semestrale dell’associazione risulta che il sovraffollamento supera il 113% e coinvolge 117 istituti su 189. 18 i suicidi da inizio anno

“Non può esserci giustizia dove c’è abuso. E non può esserci rieducazione dove c’è un sopruso” aveva detto un paio di settimane fa il presidente del consiglio Mario Draghi in visita nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, parlando di un “sistema che va riformato”. A lui ha risposto oggi l’associazione Antigone, attraverso le parole del suo presidente, Patrizio Gonnella, e la pubblicazione del rapporto di metà anno sulle condizioni della detenzione in Italia. Gonnella ha proposto una riforma del sistema penitenziario in tre punti che potrebbe essere attuato in tempi brevissimi: innanzitutto l’installazione di videocamere in tutti i penitenziari, che coprano l’intera area, comprese scale e corridoi.

Santa Maria Capua Vetere

Le immagini uscite dal carcere di Santa Maria Capua Vetere sono state la base di partenza per le indagini dei magistrati (che – va detto – sono andate anche oltre, documentando ulteriori violenze). Nel carcere di Melfi, dove le testimonianze convergenti di numerosi detenuti tracciavano un quadro di violenze simile a quello del penitenziario campano, gli inquirenti hanno chiesto l’archiviazione del caso, perché  le telecamere erano fuori uso la notte dell’ispezione seguita alla rivolta per le misure di chiusura covid. (Ispezione che è avvenuta una decina di giorni dopo la rivolta.)
La Procura ha chiesto l’archiviazione del caso perché non ci sono riprese delle violenze e perché non si è stati in grado di identificare gli agenti coinvolti. Cosa che ci riporta alla seconda proposta di riforma, una misura lungamente (almeno da Genova 2001) invocata: i codici identificativi per tutti gli agenti di polizia.
Infine – chiede Gonnella – un patto fra tutti gli attori del sistema penitenziario a rispettare l’art. 27 della nostra Costituzione, là dove recita che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Un principio – denunciano ad Antigone – “tollerato con fastidio”. 

Il 113% degli istituti è sovraffollato

Per il resto il rapporto conferma, dati alla mano, criticità che si tramandano nel tempo. Ad incominciare dal sovraffollamento, che si attesta a livello nazionale al 113%. Con 11 istituti che ospitano una volta e mezza i detenuti previsti. Penitenziario peggiore in assoluto quanto al sovraffollamento è Brescia. Seguito da Grosseto, Brindisi, Crotone e Bergamo. 

1 detenuto su 4 è tossicodipendente

Responsabile del sovraffollamento è ancora una volta le legge sulle droghe, dal momento che il 15% dei detenuti è recluso per violazione del Testo Unico sulle droghe (al 30 giugno 2021 erano 18602 uomini e 658 donne). Basterebbe depenalizzare i reati connessi alle droghe leggere per avere una sensibile diminuzione delle presenze in carcere. A questo si aggiunga che circa un quarto dei reclusi risulta tossicodipendente e avrebbe bisogno di un trattamento in comunità. 

Quale rieducazione?

La rieducazione del condannato è per la maggior parte del sistema detentivo italiano una bella frasetta e i numeri lo raccontano bene. Lo Stato italiano spende ogni anni 3 miliardi per il funzionamento delle carceri per adulti e 280 milioni per la giustizia minorile e le misure alternative. Dei 3 miliardi il 68% viene impiegato per pagare 32.500 agenti di polizia penitenziaria. Nonostante a loro sia dedicata la fetta più cospicua del budget, gli agenti risultano abbondantemente sotto organico, visto che ne servirebbero oltre 37 mila. Mai come gli educatori e i mediatori culturali. Se mediamente negli istituti visitati da Antigone il rapporto è di un agente di penitenziaria ogni 1,6 detenuti, quello degli educatori è di 1 a 91,8. Con punte record di un solo educatore per 360 detenuti a Busto Arsizio e 1 ogni 263 a Foggia.  

Solo nel 22% dei penitenziari visitati era presente un servizio di mediazione linguistica e culturale.

Non è migliore la situazione dei direttori, che solo nel 65% degli istituti era  assegnato in via esclusiva. Negli altri era responsabile di più di una struttura. 

Chiara Pracchi

Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
Per Fivedabliu curo le inchieste da Milano.