Milano – “La netta impressione è che il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di via Corelli sia un lazzaretto su una zattera alla deriva, sulla quale sono state lasciate persone private, oltre che della libertà personale, anche di una tutela sanitaria degna di tal nome”. Lo scrive – a proposito del cpr di Milano, il senatore Gregorio De Falco, che insieme alla collega senatrice Simona Nocerino e alla rete Mai più Lager No ai Cpr, ha effettuato un’accesso alla struttura nei giorni 5 e 6 giugno.
La visita ha dato luogo a un interessantissimo report significativamente intitolato “Delle pene senza delitti” e a due esposti, a firma del senatore De Falco.
I due esposti di De Falco
Il primo esposto riguarda la mancata sottoscrizione, a otto mesi dalla riapertura del centro, di un protocollo sanitario fra la Prefettura e l’Ats città metropolitana di Milano. Ciò significa l’impossibilità per i cosiddetti “trattenuti” del centro (che sarebbe meno ipocrita chiamare “detenuti”) di ricevere visite specialistiche. Parliamo di un luogo – e sono sempre parole del senatore De Falco – dove “lo squilibrio psichico è inevitabile”: le persone vi sono condotte – a volte dopo una permanenza di anni nel nostro Paese – a seguito di un incidente o di un fermo, al termine di un’udienza di pochi minuti, senza alcuna informazione o prospettiva per il futuro.
Al centro vivono senza nulla da fare, con solo una televisione accesa e senza alcun mediatore culturale. Secondo il rapporto “oltre metà degli ospiti assume ad oggi terapia di natura psichiatrica, circa il 15% degli ospiti ha mostrato nel corso del tempo un peggioramento importante delle proprie condizioni psicologico-psichiatriche”. I casi di autolesionismo sono all’ordine del giorno.
Al suo ingresso nel centro di via Corelli, De Falco scrive di aver subito visto attraverso i monitor delle telecamere, un trattenuto che si stava infliggendo tagli sul braccio e che stava per essere fermato da agenti in tenuta antisommossa. In queste condizioni si capisce quanto sia importante la stipula di un protocollo sanitario con la Ast e con il Serd per le persone tossicodipendenti. Invece – si legge ancora nel report – “non è stato sottoscritto poiché la Direzione generale Welfare di Regione Lombardia non ha ritenuto di dover sottoscrivere.”
Lo Stato ha il dovere di farsi carico della dignità e della salute delle persone che prende in custodia. I diritti delle persone detenute in carcere sono garantiti (almeno in teoria) dal 1975 dalle Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Per le persone trattenute nei cpr, senza aver commesso alcun reato e senza essere stati sottoposti a un regolare processo, non esiste nulla di simile. Unico baluardo a loro difesa è lo scarnissimo Regolamento CIE 2014. Solo a titolo di esempio, se un detenuto può ricorrere al Tribunale di Sorveglianza, un trattenuto può solo muovere istanza al Garante delle persone private della libertà (ammesso di esserne a conoscenza, che a sua volta può solo formulare delle “raccomandazioni.”
“Una smazzuliata”
Il secondo esposto del senatore De Falco riguarda una “smazzuliata”, (la definizione è del Gestore) che i trattenuti avrebbero ricevuto il 25 maggio scorso, in seguito a un diverbio degenerato. Il tutto sarebbe nato – a detta delle numerose testimonianze rese alla delegazione, giunta a sorpresa e quindi non concordate, per la scarsità del cibo a colazione. Di fronte alle proteste, sarebbero intervenuti una ventina di agenti in tenuta antisommossa, che avrebbero spinto i trattenuti dalla sala mensa verso il corridoio, dove vi sarebbe un cono d’ombra dalle telecamere in prossimità dei bagni. Qui le persone sarebbero state picchiate e – stando a quanto riferito da più testimoni – un uomo sarebbe rimasto privo di sensi per mezz’ora per i colpi ricevuti.
A suffragare ulteriormente questi racconti, ci sono i referti medici delle persone che, dopo ore, sono state portate al pronto soccorso. Tutti i referti parlano di traumi, contusioni e ferite da aggressione.
La sera del 25 segue l’incendio di un materasso per protesta. A questo proposito è interessante notare cosa scrive il Gip rigettando l’applicazione della misura cautelare per gli autori dell’incendio: X, Y e Z “hanno … ammesso l’addebito, riferendo di aver incendiato alcuni materassi per protesta verso le condizioni alle quali sono trattenuti (sarebbe dato loro cibo scaduto, non vi sarebbe l’acqua calda all’interno del centro e sarebbe loro impedito di chiamare liberamente i loro parenti; inoltre, gli agenti si sarebbero resi protagonisti di pestaggi di alcuni compagni trattenuti nel settore D) … Il fatto, per come contestualizzato dagli arrestati in sede di interrogatorio di convalida, appare episodico, legato alla situazione contingente all’interno del centro – che, sia detto per inciso, meriterebbe un approfondimento, se non altro per la convergenza delle accuse mosse alle condizioni di vita all’interno del CPR dagli arrestati, condizioni che, se le denunce rispondessero al vero, sarebbero ben oltre il limite della legalità – e non certo espressivo di una personalità violenta dei prevenuti.”
La Gestione del cpr di Milano è stata vinta dal Raggruppamento temporaneo di imprese fra Versoprobo S.c.s e Luna S.c.s, che si sono aggiudicate il bando d’appalto secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per per soli 27,40 euro pro capite e pro die, 142,71 euro per il Kit di primo ingresso, 5 euro di scheda telefonica e 2,50 di pocket money giornaliero.
Il rapporto stilato dai membri della delegazione ricostruisce attentamente tutte le mancanze del Gestore, che probabilmente, anche a causa della pandemia e della ridotta capienza del centro, non è riuscito a stare nel budget. Cosa che – lo si dica chiaramente – non può in alcun modo giustificare le carenze riscontrate.
Per il prossimo anno, la prefettura non ha rinnovato la gestione a Versoprobo e ha indetto una nuova gara d’appalto con base d’asta innalzata a 42,67 euro al giorno per persona, senza innalzare la richiesta di servizi o personale medico. Il criterio dell’assegnazione al ribasso resta lo stesso e qualsiasi gestore si troverà ad offrire meno, cercando di incassare di più, confidando nella sempre più folta popolazione di trattenuti e che lo restino il più a lungo possibile.
A questo proposito urge un’ultima considerazione: ha senso (oltre ad essere lecito) istituire dei centri per il rimpatrio nel momento in cui i rimpatri non sono possibili? Perché una persona possa essere rimandata al proprio Paese, occorre che questo abbia stipulato un accordo di riammissione con l’Italia. Nel centro di via Corelli sono state trovate anche persone provenienti da Stati che non hanno sottoscritto alcun accordo bilaterale.
Dalla data della sua apertura, nel settembre scorso, fino a fine giugno, dal centro di via Corelli sono passate 569 persone, 350 delle quali rimpatriate. Una media vicina a quella nazionale, secondo la relazione al parlamento del Garante dei diritti delle persone detenute e private della libertà, che nel giugno scorso ha stimato nel 50,1% il rimpatrio delle persone trattenute.
“Rimane aperta la domanda – si chiede il Garante – di quale possa essere il significato del tempo sottratto … considerando che in molti casi si tratta di persone provenienti da Paesi con i quali non si sono stabiliti rapporti bilaterali e l’esito del periodo trascorso in detenzione è un foglio di via che … apre a successivi rientri in altri Centri e, quindi, ad altro tempo di detenzione”.
Nella stessa relazione del Garante nazionale, MIlano figurava fra i centri con il più breve periodo di detenzione media (8 giorni), una situazione che dal febbraio scorso è però notevolmente cambiata, soprattutto a causa della mutata situazione politica in Tunisia e della pandemia di covid .
La delegazione guidata dal senatore De Falco ha rinvenuto persone trattenute mediamente 3-4 mesi fino anche a 6 mesi.
“E allora la questione da porsi è – ci domanda infine il senatore – se … una società civile possa tollerare un prezzo così alto, in termini di lesioni di diritti e dignità della persona, ma anche economico, per un’azione che in definitiva ha più un fine politico simbolico che concretamente operativo”.
Chiara Pracchi
Giornalista per passione, mi occupo soprattutto di mafie e di temi sociali. Ho collaborato con PeaceReporter, RadioPopolare, Narcomafie, Nuova Società e ilfattoquotidiano.it.
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