L’Afghanistan non è solo il crocevia politico tra Europa e Asia Centrale, ma è anche petrolio, minerali e tanto oppio
Che non sarebbe stata un ritiro semplice quello americano dall’Afghanistan era noto da molti mesi. Anzi, proprio i talebani avevano dichiarato che l’uscita delle truppe americane non sarebbe stata una passeggiata.
Le operazioni militari americane sono durate 20 anni. In totale le truppe straniere in terra afghana sono state quasi 10 mila e di queste un terzo statunitensi. Il costo dal 2001 è stato di 2,25 trilioni di dollari e in diciannove anni, e in termini di vite le perdite ci parlano di 46mila morti. Per le forze di liberazione/occupazione i morti sono stati 3.600 e, ad oggi, il 70% del territorio afghano è instabile o sotto l’occupazione talebana.
I talebani conquistano le città che contano
Di pari passo al ritiro delle truppe di Biden avanzano quelle talebane che ieri hanno conquistato Kunduz, Sar-e-Pul e Taloqan, nonostante la presenza e il controllo dal cielo dei bombardieri B-52 e AC-130H Spectre.
Uno dei punti di forza una mano ai talebani è la città di Kunduz. Porta di ingresso alle città del nord, quelle più ricche di materie prime, è anche il raccordo logistico con le rotte più battute per i traffici di oppio e eroina verso l’Europa.
L’oppio afghano
L’Afghanistan è il maggior produttore mondiale di oppio, con circa il 90% della produzione totale. I proventi dalla coltivazione del papavero da oppio sfiorano gli 800 milioni di dollari e quintuplica il suo valore quando viene esportato. Insomma, una montagna di denaro che da sempre ha arricchito le organizzazioni criminali internazionali ma soprattutto i talebani.
Le principali province dove vengono prodotti oppio e eroina sino quelle sud-occidentali del paese. Il 98% delle coltivazioni è concentrato nelle province di Helmand, Kandhar, Uruzgan, Zabul, Farah, Nimroz, Day Kundi.
La situazione è grave
E l’offensiva talebana sta assediando Herat, Lashkar Gah e Kandahar, tre capoluoghi chiave delle province meridionali e occidentali. Le forze speciali governative sembrano poter fare poco contro l’offensiva talebana che, come riportato dal portavoce dell’esercito con interi distretti ormai nelle mani dei talebani, come riportato da Ajmal Omar Shinwari, portavoce dell’esercito afghano che ha dichiarato: “che la situazione è particolarmente grave a Lashkar Gah, Helmand, dove l’esercito stava progettando di intercettare i movimenti talebani e successivamente lanciare un’offensiva. Le autorità provinciali di Helmand hanno affermato che domenica i talebani hanno aumentato le loro forze a Lashkar Gah, confermando che i ribelli ora hanno il controllo del settimo distretto della città.”
Le forze talebane controllano circa la metà dei 407 distretti in cui è divisa l’amministrazione afghana. E in questi territori sono compresi i valichi di frontiera con l’Iran e il Pakistan. Ma l’aspetto più interessante è capire chi sostituirà l’egemonia USA in Afghanistan, e la risposta, francamente neanche tanto difficile da dare, è Turchia e Cina, con un ritorno anche della Russia.
Emergenza umanitaria: 5000 feriti e 300.000 sfollati
Ma al netto dei giochi di potere, lo scenario più preoccupante è quello umanitario. Dall’inizio dell’anno sono 5000 le persone rimaste ferite e oltre 300 mila gli sfollati che si aggiungono agli oltre 3 milioni di sfollati interni che cercano di scappare dalle zone di conflitto. E la Turchia rappresenta la meta di molti profughi che vanno ad aggiungersi ai 200 mila già presenti.
Le mani della Cina sull’Afghanistan
La Cina è uno degli interlocutori più interessati a entrare in affari con il probabile prossimo governo talebano. Infatti il 28 luglio ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato a Tianjin una delegazione talebana guidata dal capo dell’ufficio politico di Doha, il mullah Abdul Ghani Baradar. Al netto degli esiti dell’incontro, il primo dato importante è il riconoscimento internazionale dei talebani e dall’altro la scarsa fiducia che gli attori internazionali hanno nell’attuale governo di Ashraf Ghani.
Ufficialmente Wang Yi e il mullah Baradar hanno discusso di sicurezza e del processo di pace afghano, con un invito da parte cinese rivolto ai talebani affinché “svolgano un ruolo importante nel processo di riconciliazione pacifica e di ricostruzione in Afghanistan”.
Ma se l’incontro è stato presentato al mondo come un fatto eccezionale, va ricordato che già nel 2015, e quindi durante l’occupazione USA, vi fu un summit ufficiale tra governo cinese e talebani. I motivi che spingono Pechino a trattare con i talebani sono molteplici. Dal sottrarre aree di influenza politica e militare agli Stati Uniti, al poter avere, attraverso Pakistan e Afghanistan, un ponte commerciale con Russia e Iran. La “Nuova via della seta” potrebbe espandersi in Asia Centrale grazie a un governo stabile e collaborativo a Kabul.
La minoranza uigura
Ma la Cina pensa anche alla sua sicurezza interna. Il conflitto con alcuni gruppi jihadisti tra la comunità uigura (ne abbiamo parlato qui) dello Xinjiang è sempre attivo. Il confine tra i due paesi è lungo solo 76 chilometri, in alta quota e senza vie di comunicazione, ma Pechino sta chiedendo ai talebani di isolare i gruppi di separatisti e Jihadisti uiguri, come l’ETIM, East Turkestan Islamic Movement ,che potrebbe utilizzare proprio quei pochi chilometri come base logistica per attaccare la Cina. In ultimo, la Cina possiede gran parte dei diritti estrattivi in Afghanistan, paese che non è ricco solo di giacimenti di petrolio ma anche di minerali rari e preziosi, per una valore che supera i tre trilioni di dollari.
Un eventuale nuovo governo talebano talebano manterrà le promesse fatte ai cinesi in questi 6 anni di vertici? Se le cose andranno come la promessa del cessate il fuoco durante il ritiro americano, la risposta non può essere positiva.
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